1984, Jorge Cyterszpiler riferisce a Maradona che il Napoli è interessato al suo ingaggio. Il Pibe risponde senza mezze misure “Se pagano…”. Come giusto che sia. Tutto quello che è accaduto dopo è storia ancor più nota. E dentro ci vive quello che oggi è tra le ragioni per le quali Diego Armando Maradona è l’unica parola diversa da Napoli che campeggia insieme a Napoli. Un’assunzione che supera la retorica sentimentalista. Dietro c’è un legame che deriva da una polarità inversa a volte trascurata. 

Napoli conquistò Maradona tanto quanto lui fece con la città e con tutti i napoletani, e non solo, sparsi per il mondo. In quella conquista ci sarebbero finiti i paradossi neri e le contraddizioni più amare. Anche in quel caso, come giusto che sia. Per una Commedia dell’intimità destinata a diventare un dispositivo spirituale. Fu lo stesso Diez, a più riprese, a confessarlo, ora implicitamente ora esplicitamente, durante e dopo i suoi anni partenopei. 

Qualcosa dentro di lui fu rapito da una necessità, sia pur estemporanea, sia pur significativa in un momento della sua vita, da un luogo in cui relazionarsi con un grado di riconoscenza tanto patologico quanto struggente. Se la conquista interiore non fosse stata reciproca, sia pur nei vizi e nelle dolorose imperfezioni di questo rapporto, il mito di Maradona non avrebbe avuto senso.

Adesso, con la non poco significativa differenza del momento felice, la permanenza-ripensamento di Antonio Conte ripropone i tratti di quel meccanismo. Un’ingenua e consolatoria ipocrisia indurrebbero a tenere in considerazione solo l’aspetto emotivo ed entusiastico della vicenda, ma un più accorto e doveroso punto di osservazione deve considerare pure il fatto che l’allenatore leccese sia stato di certo accontentato anche rispetto a fattori di natura professionale ed economica. Come giusto che sia. 

Tuttavia il tempo ha giocato alle vicende umane un tiro dolcissimo e imprevisto, perché nessuno può negare che la manifestazione collettiva abbia in qualche maniera provocato un genere di condizionamento. L’entusiasmo si è espresso in polifonia, tanto dalla volontà della presidenza quanto da quella della piazza. In mezzo, l’impianto che da tutte le direzioni ha operato il convincimento su un Conte forse anche più consapevole di uno stato percettivo, oltre che razionale. Tra i legittimi egoismi di sorta e il coraggio di ascoltare la voce di una grande possibilità. Non più individuale, ma condivisibile. 

Questo ripensamento ha il valore politico di una ritorsione verso chi in passato ha giocato spesso da ostacolo, esercitando il proprio potere economico e politico. Invece pare che per un istante la storia originaria di Antonio Conte abbia ceduto agli imprevisti della vita. Di quando il tempo può riservare mutazioni d’animo e di disponibilità che non rovesciano la medaglia, ma addirittura la cambiano.

In questa mutazione non insistono soltanto accordi e soddisfazioni personali, siano essi di natura economica o progettuale, ma agisce pure il potere della felicità. Una volta tanto, come giusto che sia. “No hay mal que dure cien años, ni cuerpo que lo resista”.