“Nato a Napoli”, pare, dentro la serenità ambientale che allora era considerata privilegio per pochi. Quella che forse è utile a coltivare la lucidità delle idee da conservare dentro gli archivi dei chissà. Senza i pensieri emergenziali della vita sprovvista al suo principio. Giovanni Galeone è stato allevato sulla diagonale mediterranea, da Napoli a Trieste. Due luoghi così diversi e così simili per riluttanza all’adesione territoriale di natura istituzionale. 

Parthenope dentro il suo spirito extranazionale e Trieste affacciata per sempre a contemplare il varco orientale che un tempo fu il timore dell’invasione sovietica e poi la finestra sulla dissoluzione jugoslava, la terra di cui Galeone subì il fascino di quel calcio bellissimo e mai campione. I “brasiliani d’Europa”. Galeone amava in particolare i croati, vedendoci giusto, da quella lente raffinata che da fine osservatore non aveva perso di vista il registro in versi del calcio danubiano.

Giovanni Galeone è stato tra i grandi personaggi letterari del pallone italiano. Prima di tutto perché mai vincitore, a secco di titoli e trofei, ed esclusivamente votato alla teorizzazione dell’idea. Il suo credo era l’estetica a testa alta, spavalda, sbarazzina, di un futbol senza ossessione del risultato. Una mezza contraddizione in termini per un professionista, ma in coraggiosa contestazione all’intendimento positivista delle cose, pallone compreso. Prima di tutto quello. Lo sguardo rivolto al senza nulla a pretendere. 

La sua eleganza espressiva, intinta dentro le sue attenzioni a pensatori come Sartre, Pasolini, Brecht, parlava un linguaggio essenziale e ricchissimo sempre col fiore in bocca, ma con la spina delle intenzioni. Contro l’ipocrisia di un mondo le cui retoriche e sovrastrutture non perdonavano la contestazione al pragmatismo del profitto. Lui invece giocava e voleva veder giocare il gioco. L’affondo semplice e diretto dentro la serietà della grazia. Il suo 4-3-3 fu maestro di allenatori che poi avrebbero vinto titoli e trofei. E che ancora oggi non possono fare a meno di ricordare che gli devono molto.

Allora a qualcosa sarà servita la sua filosofia calcistica spregiudicata e offensiva. La sedimentazione. Ha lasciato tanto dentro le idee di chi gli è succeduto. A dispetto di chi credeva fosse inutile sporgersi oltre certi limiti. Come ha fatto lui quando si è innamorato di questo sport. Al di là di confini a lungo creduti ostili. E invece quel desiderio di bellezza ha liberato pagine di un grande romanzo di formazione che sarebbe andato in dote al futuro. E c’era cresciuto dentro Giovanni Galeone.