La cessione di Giacomo Raspadori manda in archivio l’attacco del terzo scudetto e i centravanti aggiunti del quarto. Il moto offensivo del Napoli si ferma a una ricostruzione compiuta nel reparto che era stato il più spettacolare di tutti. Fino alla transizione vincente del quarto scudetto, con l’inevitabile paragone col terzo. 

Tre anni di Raspdori sono stati sufficienti a fornire la sintesi della compiutezza. Senza forzature, senza indugi sulla necessità di prolungare qualcosa che ha fatto il suo tempo. Adesso è giusto che ne lasci altro a disposizione di chi ha tutto il diritto di confidare in un secondo atto di una carriera per adesso caratterizzata dalla spinta del rincalzo e dalla costante mancanza di certezza di sentirsi titolare.

Giacomo Raspadori a Napoli ha vestito con dignità i panni da comprimario, fino a conquistarsi la stima di un’intera tifoseria grazie alle giocate decisive di un triennio che ha portato due scudetti in cui il suo nome sarà sempre ricordato come quello del gol alla Juve e di quelli che in altri momenti hanno sbloccato passi e punti decisivi. 

I suoi numeri non sono di quelli che saltano all’occhio. Eppure il suo contributo in certi frangenti ha superato il calcolo statistico. Se molti conserveranno davanti agli occhi la rete a Torino, altri non dimenticheranno la frazione decisiva nel finale di campionato valso il quarto scudetto. Col merito di aver sopperito a lungo ad assenze e buchi di organico in un Napoli arrivato alla vittoria da incompleto, senza Kvara andato via e gennaio e con molti infortuni da affrontare. E Giacomo Raspadori forse è stato quello che più di tutti ha saputo adeguarsi a cambi di modulo e stati di necessità.

Dopo Simeone, anche lui saluta Napoli senza rancori e senza riserve. Laddove quel reparto d’attacco si è scomposto prima con le delusioni di Osimhen e Kvara, il congedo dell’altra faccia della fatica ha restituito la dignità di una divisione serena. E non c’è niente di più bello che conservarsi dentro un bel ricordo.