di Elio Goka

 

11 settembre 1973, in Cile

 

I vertici militari sollevano Salvador Allende dall’incarico di Presidente del Cile. L’azione politica avviene attraverso un colpo di stato che, in quello stesso giorno, vede alcuni aerei caccia golpisti bombardare il palazzo della Moneda, sede del governo cileno. In quell’edificio, l’11 settembre 1973, Salvador Allende trova la morte in circostanze mai del tutto chiarite. Per la versione ufficiale si è suicidato, per altre sarebbe stato assassinato dagli uomini di Augusto Pinochet, il capo della giunta militare che quel giorno sostituisce con la forza delle armi il governo scelto dalla volontà popolare.

 

 

23 settembre 1973, in Cile

 

In un ospedale di Santiago, all’età di 69 anni, si spegne Pablo Neruda, considerato tra i più grandi scrittori del Novecento sudamericano. Neruda, prossimo a un nuovo esilio - ne aveva già dovuto affrontare uno per ragioni politiche - muore a causa di un tumore. In seguito a un’inchiesta alcune ipotesi sostengono che sia stato assassinato. L’ultima richiesta ufficiale di revisione degli elementi di indagine del Partito Comunista Cileno, al quale Neruda aveva aderito durante la sua carriera politica, risale all’anno 2015. Fino a questo momento pare che gli esami scientifici abbiano sempre dato esito negativo.

 

 

17 dicembre 1974, in Cile

 

Il Generale Augusto Pinochet, fino a quel momento Capo della Giunta Militare Cilena, viene proclamato Presidente della Repubblica. Si rivelerà come tra i più feroci e spietati dittatori della storia sudamericana. Il Cile di Gabriela Mistral, Premio Nobel per la letteratura nel 1945, di Pablo de Rokhna, di Neruda e di molte figure significative per l’Umanesimo del Ventesimo secolo, ma anche di tante persone quotidianamente impegnate non solo per il proprio paese, ma pure per la salvaguardia di un modello di vita che non sia quello imposto dalle violazioni imperialiste, quel Cile, quella frazione di America latina, non esiste più. Nei suoi anni di governo la giunta di Pinochet non risparmia al suo popolo gli orrori peggiori. Tra questi, quello di condurre prigionieri politici, oppositori, o sospettati di essere tali, all’interno dello Stadio Nazionale di Santiago del Cile, lo storico impianto dove, pochi anni prima, era stata disputata la Coppa del Mondo. Estadio Nacional, un nome che per i cileni che hanno vissuto quegli anni riecheggia angosciante e insostenibile. Chi viene condotto in quello stadio non sa se ne uscirà vivo. 

 

 

11 marzo 1990, in Cile

 

Augusto Pinochet lascia la presidenza della Repubblica del Cile. Durata del suo “mandato”, 17 anni circa. Abbastanza per lasciarsi dietro una scia di morti, di esecuzioni, di torture, di violazioni dei diritti umani, di arresti sommari e di ogni altra aberrazione.   

 

 

4 luglio 2015, in Cile

 

La Nazionale di calcio cilena, battendo in finale l’Argentina ai calci di rigore, nella gara giocata allo Stadio Nazionale di Santiago del Cile, vince la sua prima Coppa America. È il primo trofeo importante conquistato dai cileni nella loro storia calcistica. In uno stadio, l’Estadio Nacional, pieno di tifosi, colorato di rosso, in cui ognuno sventola una piccola bandiera, nello stesso luogo dove migliaia di cileni erano stati torturati e uccisi in quegli anni bui, il Cile sperimenta la gioia collettiva del futbol, come lo chiamano i sudamericani. Nell’Estadio Nacional, ormai rinnovato dai lavori di ristrutturazione, di quegli anni orribili e indimenticabili è rimasto un museo e una piccola parte delle tribune, intorno alla “Salida 8”, dove tutto è stato lasciato com’era negli anni ’70. Una frazione di spalti composta da panche di legno, le stesse panche dove, probabilmente, dovettero sedersi molte delle vittime di quel regime.

 

Quella piccola parte dello stadio sarà rimasta in silenzio anche nel momento decisivo. Così come sarà rimasta in silenzio durante i festeggiamenti per la conquista della Coppa. Quella piccola parte dell’Estadio Nacional, quando tutti vanno via e i cancelli si chiudono, inizia a bisbigliare la sua parola. Quella parte di stadio parla da quarant’anni, e forse mai smetterà di farlo. La regola imposta a chi ha vissuto su quelle panche i suoi ultimi giorni di vita fa sì che certe cose restino imperturbate pure davanti alle grandi vittorie, ma, di certo, non conoscono sconfitte.

 

Come ha scritto Pablo Neruda in una sua poesia, 

 

“questa fatalità degli uomini,

che ti spinge a difendere un fiore misterioso,

solo, nell'immensità dell'America addormentata”