
Chissà come dev’essere frustrante aspettare una vita per qualcosa che non succederà mai. Chissà come dev’essere terribile vedere il proprio sogno infrangersi fra le lamiere. Chissà come dev’essere mortifera la telefonata, a casa, di una persona che non hai mai sentito in vita tua, che per la prima volta ti chiama e ti comunica che «Signora, guardi, si è schiantato l’aereo che trasportava suo marito. No, signora, non si agiti, faremo il possibile». Chissà quanto dev’essere tremendo, in una redazione, accendere la televisione e vedere che un tuo collega, sei colleghi, quattro colleghi, venti colleghi sono morti per fare ciò che più li appassiona: raccontare.
Già, perché quello che separa noi da voi è poco: noi scriviamo ciò che voi fate, forse perché non siamo più capaci di farlo o forse perché non lo siamo mai stati («Uno fa il critico se non può fare l’artista», per citare personaggi di altro spessore culturale); noi raccontiamo le vostre gesta, forse perché siete gli eroi omerici di questi secoli o forse perché ci sentiamo in dovere verso chi non può essere lì; noi parliamo di voi quotidianamente, forse perché la nostra professione ce lo impone o forse perché, e qui casca l’asino, questa è una passione malsana.
Sì, non credo ci sia molto altro da chiedersi: la nostra è solo passione, malattia, anche una sorta di perversione, perché che gusto ci sarà a raccontare di ventidue che inseguono un pallone, facendo ciò che vorresti ma non puoi fare al posto loro – per evidenti limiti tecnici, fisici etc., proprio me lo devi spiegare. Siamo i voyeur del mondo sportivo e poco ce ne importa, perché amiamo troppo questo mestiere: nessuno può raccontare una cosa se da questa non trae giovamento, passione, in un certo senso quella ???????? che i Greci provavano in teatro e che noi viviamo ogni domenica. «Non di solo pane vivrà l’uomo», diceva Cristo al demonio tentatore, «ma di ogni pallone che rotolerà su una qualunque superficie piana», aggiungeremmo noi tutti che facciamo del raccontare il nostro mestiere, la nostra passione: gli anni trascorsi a lavorare senza compenso, quelli a rigaggio o a battuta, le nottate in redazione a trovare il risultato tra quella squadra al confine con la Basilicata e quell’altra sulla costa tirrenica vicino Crotone che si sfidano solo perché i gironi di Terza Categoria sono fatti proprio benissimo, guarda, gli occhi che si chiudono davanti all’ennesima partita da vedere, l’iter burocratico per diventare pubblicista, poi giornalista, i fallimenti dei giornali, la rinuncia, il sogno che svanisce, la vita normale. E allora di nuovo a chiedercelo, di nuovo a domandarsi a cosa serva buttare sangue sui nostri PC, sbattendo le dita sui tasti ogni giorno in modo più forte, ogni giorno con più rabbia e frustrazione in corpo, se poi il fine ultimo è la vita normale. Quella di chi ieri ha perso la vita nel volo schiantatosi a Medellin era la vita di chi ce l’aveva fatta: sei della FOX, tre di TV Globo, quattro di RBS, due di Radio Super Condà, uno di Radio West Capital, uno di Radio Chapecò, altri due ancora. Loro erano riusciti a raccontare la finale di andata della Copa Sudamericana, come se io, fra quindici anni, dovessi raccontare la finale di Europa League: il destino è beffardo, bugiardo, infame, ed il loro sogno si è spezzato, andato in fumo come le macerie di quell’aereo che li trasportava, insieme alla squadra, verso Medellìn.
Ma i media, la maggior parte dei media, di loro ha taciuto: un tradimento dalla cosa che più hai amato. È per questo che Victorino Chermont, Lilacio Pereira Jr., Rodrigo Santana Gonçalves, Màrio Sérgio, Paulo Clement, Guilherme Marques, Guilherme Van der Laars, Ari de Araùjo Jr., Laion Espìndola, Giovane Klein Victoria, André Podiacki, Bruno Mauri da Silva, Djalma Araujo Neto, Renan Agnolin, Gelson Galiotto, Fernando Schardong, Douglas Dorneles, Edson Ebenily Jacir Biavatti ed Ivan Carlo Agnoletto meritano, così come gli altri, un ricordo adeguato, «un dolore uguale al mio»: perché loro, dopo anni, ce l’avevano fatta, e la passione che li ha strappati alla vita li consegnerà all’immortalità. A voi.