Qualcosa è tornato per fare visita a Francesco Acerbi. L’invasore, “l’alieno”, l’inviato della malasorte che lo aveva già costretto a un intervento prima di poter tornare a giocare.
Sui tumori e i malcapitati che sono costretti ad affrontarli, a portarseli addosso come il peggiore degli avversari, se ne leggono e se ne ascoltano tante, tutte in fila a reggere con dignità il fardello di una disputa che non ha arbitri e regolamenti, che dura pure quando si dorme, che è il primo e l’ultimo pensiero della giornata. Qualcuno ha scritto che con quella malattia si inizia a dialogare, qualcuno preferisce la fuga nell’isolamento, qualcun altro invece battezza la propria resistenza col nome dell’indifferenza, fingendo che l’ospite indesiderato non sia mai arrivato, che la sua bussata sia stata soltanto un’impressione.
Per un atleta famoso non deve essere poi così diverso da una persona meno celebre, vederselo arrivare per la seconda volta, peggio ancora se col peso della diffidenza iniziale, del fraintendimento avventuroso dei media, che hanno usato la parola “positivo” troppo presto, senza riflettere sul fatto che il “negativo” sta nell’incuranza di organismi federali che non hanno ancora aggiornato il “prontuario” dei farmaci e delle “occasioni”, volendo rimanere in bilico sulla semplicità, dando per allineabile all’onta del doping pure il medicinale che serve a tenere alta l’allerta contro un tumore.
Da quando le giuste e pronte smentite hanno rettificato, purtroppo, la situazione di Acerbi, non è che ci sia stato questo sprecarsi generale per dirgli almeno "scusa, non volevamo dire che ti eri dopato, non volevamo insinuare sia pur per un istante che i tuoi medicinali non c’entrano con lo sport, con le prestazioni, ma con qualcosa che di tanto in tanto, senza formalità e autorizzazioni, senza discriminazione alcuna, sa far visita a chiunque, affezionandosi nella maniera peggiore possibile".
Allora si capisce la rabbia di un calciatore che ha visto offendere il desiderio di riservatezza intorno alle sue condizioni di salute, violato in buona fede, forse, ma senza le dovute delicatezze e prudenze del caso, abituati, come spesso si è, a dar fiato alle trombe dei sensazionalisti.
Per fortuna tutto è caduto subito nel vuoto, la parte più maldestra e superficiale di questa storia, nella delicatezza e nella sensibilità della curva dei tifosi del Sassuolo che si sono ricordati di lanciare un messaggio di incoraggiamento e di vicinanza a Francesco. Resta la parte più amara, il tema di fondo che tante persone come lui sono costrette a suonare, pure quando si pensa che lo spartito si sia chiuso, e nel migliore dei modi.
Sono passati i giorni del Natale che fa da intrattenimento, forse ne passeranno altri senza che nessuno soffi al contrario, senza che il giudizio prematuro smetta di fare da spiffero fastidioso, senza che qualcuno chieda a chi di dovere di rivedere il rapporto tra i controlli antidoping e i farmaci utilizzati dagli atleti in cura di particolari terapie. Che questa storia, come tante altre, torni fiera nel proprio diritto di silenzio, che il disparte sia il campo di gioco di una partita già ricominciata, e che forse non vuole cronache di rito.
Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka