di Giovanni Migliore

 

La città di Palermo, il cui nome latino Panormus deriva dal greco Pànhormos che significa “tutto porto”, sia per conformazione geografica che per tradizioni storiche è stata a partire dalla dominazione araba uno degli empori commerciali più attivi del Mediterraneo.  A distanza di mille anni, divenuta terreno fertile delle mire espansionistiche di un imprenditore friulano, Palermo non ha smesso vestire i panni di un “grande porto di mare”. 

 

Oggi, dopo un anno di purgatorio in Serie B e la successiva stagione - a tratti entusiasmante - in massima serie, il mercatante Zamparini senza troppi indugi ha messo in vendita i suoi più preziosi gioielli. Mercanzia pregiata e di lusso su cui hanno messo gli occhi i principali investitori europei. Paulo Dybala è stato ceduto alla Juventus ancor prima della fine del campionato, tanto da venire risparmiato nelle ultime giornate. I nazionali Belotti e Vazquez stanno con le orecchie tese in attesa di una chiamata importante. Niente di nuovo sotto il sole cocente panormita. La breve storia del Palermo in Serie A è scandita da illustri cessioni di campioni che hanno fatto le fortune delle squadre in cui sono andati a giocare. 

 

 

Era il 2004 quando un vulcanico imprenditore friulano, attraverso degli sforzi economici non indifferenti,  ebbe il merito di riportare in auge i colori rosanero con la conquista della storica promozione nella massima serie. Una città in festa, una città ai suoi piedi. Erano gli anni del Barbera e dei suoi 32.000 abbonati. Erano gli anni di Zauli, Toni, Terlizzi, Biava, Grosso, e soprattutto di Guidolin, uno degli allenatori più rimpianti sotto Monte Pellegrino. Al ballo delle debuttanti, il piccolo Palermo di Guidolin, rinforzato dagli arrivi di Barzagli, Zaccardo e Corini, non sfigurò. Sesto posto che valse una storica qualificazione in Coppa Uefa. 

 

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Bomber Luca Toni nel 2005, appena ventottenne (Getty Images)


 

 

 

La stagione successiva, nonostante la  dolorosa cessione di Toni alla Fiorentina (autore di 50 goal in due anni) rimpiazzato con i coraggiosi quanto  improbabili acquisti di Makinwa e Caracciolo, si concluse con un ottavo posto in campionato che, dopo lo scandalo di calciopoli, divenne quarto, e dopo una sentenza di secondo grado, quinto, in favore della riammissione del Milan, che, caso volle, vinse la Champions League la stagione successiva.  Era l’estate del 2006, e Palermo poteva vantare di avere 4 campioni del mondo: Zaccardo, Barone, Barzagli, e l’eroe di Berlino Fabio Grosso che fecero sognare una nazione intera e che diedero una gioia immensa agli italiani, una gioia indimenticabile. Sembrava l’alba di un progetto ad ampio raggio in una città dove ci si è sempre accontentati di poco, dove ogni investimento di Zamparini era come oro colato. 

 

 

La stagione 2006/2007 si aprì con la cessione di Fabio Grosso all’Inter per 6.5 milioni di euro (non male per un calciatore over 30) e con quelle di Andujar, Terlizzi, Mariano Gonzalez, Santana, Barone e Munari. In entrata Zamparini, coadiuvato dall’indimenticato Rino Foschi, piazzò una serie di colpi eccellenti: Diana, Bresciano, Simplicio, Cassani, Amauri (8.7 milioni al Chievo) e dulcis in fundo, un tale Edinson Cavani, che si aggiunse alla carovana nel mese di Gennaio. Fu una delle stagioni più entusiasmanti che si possano ricordare sotto Monte Pellegrino. Quell’infortunio al crociato di Amauri in uno scontro con Manninger in un Siena-Palermo, segnò la fine dei sogni di gloria e i 10 punti di vantaggio sulla quarta, vennero presto dilapidati. Uno storico quinto posto, condito dalla terza qualificazione consecutiva in Europa, convinse Zamparini ad insistere nel progetto chiamando a se un tecnico emergente come Colantuono e rinforzando la rosa con una campagna acquisti di indubbio spessore: Migliaccio, Miccoli, Jankovic e Balzaretti, sopperirono alle dipartite di Caracciolo, Makinwa, Corini, Di Michele, Diana, Brienza e Dellafiore. 

 

 

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Edinson Cavani, 109 presenze 34 gol con la maglia rosanero (Getty Images)


 

Con il passare degli anni, il giocattolo iniziò a rompersi. Ad un certo punto, bisognava far quadrare i conti. Le illustri quanto opulenti cessioni di due campioni del mondo come Zaccardo e Barzagli al Wolfsburg (per un totale di diciotto milioni e quattrocento mila euro) rimpinguarono a dovere le casse dell’imprenditore di Sevegliano. Per non parlare di Amauri che passò alla Juventus per la modica cifra di ventidue milioni e ottocento mila euro. L’allora ds Sabatini, dovendo far fronte a tutti questi addii (aggiungiamoci anche Biava e Rinaudo) fece un gran lavoro portando a Palermo Amelia, Sirigu, Bovo, Carrozzieri, Kjaer, Liverani, Nocerino, Budan, Lanzafame, De Melo, Succi e Hernandez.

 

 

“Questa squadra è da scudetto” con queste parole Walter Zenga si presentò alla città. Le cose non andarono esattamente così, almeno per quanto riguarda l’esperienza dell’ex uomo ragno. Il timone venne preso da Delio Rossi, che in due anni fece diventare il Palermo una delle realtà più belle del calcio italiano. Era il Palermo di  Migliaccio gladiatore instancabile del centrocampo, di Balzaretti e Cassani frecce saettanti sugli esterni, e del trio delle meraviglie, Miccoli, Cavani e Pastore. Una squadra eccezionale, con un tasso di qualità mai visto nel capoluogo siciliano. Una squadra che orfana di Cavani e Kjaer ma rinforzata da Munoz, Pinilla e Ilicic ,  il 29 maggio del 2010 arrivò a giocarsi una storica quanto  sfortunata finale di Coppa Italia contro l’Inter di Milito e di Eto’o.

 

Da quel giorno però cambiarono tante cose. L’organico venne lentamente e irreversibilmente smantellato. Da Pastore e Sirigu venduti per una cifra record (43 + 3.9) agli sceicchi del Paris Saint Germain a Nocerino regalato l’ultimo giorno di mercato a Galliani, passando per le cessioni di Bovo, Cassani (detentore del record di presenze in maglia rosanero) Glik, Goian, Kasami, Liverani, Pinilla e Paolucci. Una vera e propria campagna di svendita, che si materializzò anche durante la sessione estiva dell’ultimo mercato. Oltre alle dipartite dei senatori Migliaccio e Balzaretti, vennero anche liquidati investimenti onerosi come Viviano, Silvestre, Vazquez e Acquah, e meteore del calibro di Darmian, Tzorvas, Aguirregaray, Alvarez, Bacinovic, Della Rocca, Pisano, Bertolo e Giorgi

 

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Migliaccio e Miccoli, due bandiere del Palermo Calcio (Getty Images)


 

 

La stagione 2012-2013 è stata quella più nefasta della gestione Zamparini. Sannino, Gasperini, Malesani, Gasperini, Sannino in chiastica successione hanno contribuito ad una clamorosa retrocessione. Le breve gestione come ds di Lo Monaco ha arricchito soltanto le statistiche di giocatori che hanno indossato la maglia rosanero almeno una volta nella loro vita: Aronica, Anselmo, Sanseverino, Malele, Formica, Boselli, Faurlin, Nelson Tomar, Dossena, Fabbrini. Senza contare il famigerato Sperduti che non è riuscito neanche a scendere in campo. Dopo le inevitabili cessioni di Miccoli, Kurtic, Ilicic e Brienza la ricostruzione venne affidata a due ex calciatori con poca esperienza come Gattuso e Amoruso nei panni di direttore sportivo. 5.239 tessere d’abbonamento vendute e altro fallimento annunciato. Poi la svolta con Iachini che ha saputo forgiare un gruppo e dominare il campionato cadetto. 

 

Al ritorno in Serie A le uniche cessioni eccellenti sono state Munoz ed Hernandez, rimpiazzati però da una campagna acquisti mirata ed oculata. Il resto è storia recente, con le meraviglie con cui Vazquez e Dybala hanno coccolato e deliziato i tanti tifosi rosanero tornati allo stadio. 

 

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Munoz-Dybala-Vazquez: trio argentino ben presto smembrato (Getty Images)


 

 

Dopo aver riportato alla memoria un ardito e articolato resoconto delle cessioni illustri degli ultimi anni, proviamo ad immaginare come sarebbe potuto essere  il Palermo oggi:

 

a difendere i pali Sirigu, stimato in Francia come uno dei migliori portieri in circolazione. In difesa la sicurezza di Barzagli, ad oggi considerato uno dei migliori interpreti nel suo ruolo, e l’esperienza di  Munoz. Terzini di fascia gli indimenticati Balzaretti e Cassani. Centrocampo muscolare e di qualità con Barreto, Kurtic e quel funambolo discontinuo di Jankovic. In attacco grande abbondanza, che farebbe invidia a qualunque club europeo. L’estro di Dybala a disposizione della straordinaria classe di Cavani e alle doti di cecchino di razza di Luca Toni. Pronti a subentrare Pastore, Pinilla, Amauri, Miccoli, Ilicic ed Hernandez. Una miniera di attaccanti ancora in attività e in grado di fare la differenza.  

 

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