Quello di ieri, nell'ennesimo clasico stagionale, è stato l'ennesimo stop alla rincorsa di Mou al Barça, sia dal punto di vista dei risultati, che da quello del gioco in senso stretto. Il bilancio del portoghese, negli scontri diretti con i blaugrana, si fa sempre più sconfortante: 1 vittoria, 3 pareggi e 5 sconfitte. Oggi, nel mettere le mani alla tastiera, per descrivere l'ennesima debàcle dei blancòs, mi sono reso conto che in realtà non avrei saputo scrivere di meglio, in merito all'epopea dello Special One, di quanto feci qualche tempo fa, a margine d'un'altra roboante sconfitta contro Messi & Co. Questa volta, però - e meno male per noi - nessun eccesso di pareidolia. Solo una semi-ammissione di inferiorità, e la solita, apprezzabile, stavolta, autocritica che rifugge le colpe dai suoi ragazzi, deresponsabilizzandoli. In pieno tipico stile Josè. Non per questo, però, queste opinioni, datate Aprile 2011, si rendono meno attuali. E' per questo che le ripropongo, sperando di non abusarne.
 
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Si chiama "pareidolia " (dal greco ε?δωλον, immagine, col prefisso παρ?, simile).
 
E'  l' "illusione subcosciente che tende a ricondurre a forme note oggetti o profili (naturali o artificiali) dalla forma casuale.È la tendenza istintiva e automatica a trovare forme familiari in immagini disordinate; [...] classici esempi sono la visione di animali o volti umani nelle nuvole, la visione di un volto umano nella luna oppure l'associazione di immagini alle costellazioni. Sempre alla pareidolia si può ricondurre la facilità con la quale riconosciamo volti che esprimono emozioni in segni estremamente stilizzati quali le emoticon".
 
Non si soffre di pareidolia. Non è una malattia, sia ben chiaro. Come una malattia non è quella di cui soffre un vincente che ha perso. Come malato non è un uomo Speciale che non riesce a riconoscere i suoi limiti, e che erge un muro fatto di anti-comunicazione tra sè ed i suoi interlocutori, affascinati o meno dal suo appeal.
 
Non è malato uno che non riesce a riconoscere la superiorità tecnica di coloro che, a casa tua, decidono che è arrivato il momento di vincere. Non è malato uno che, in quei sette tocchi di destro-sinistro - pettinati con aurea cura, come solo mani di tenerissimo velluto potrebbero fare ad una chioma lucente come il risveglio dei sensi - non riesce a cogliere la causa della propria inferiorità, ma solo la concausa di essa stessa.
 
Non deve essere facile, vero, Josè? E' dura, durissima. E' più facile, invece, mettere in mezzo il fato alterato, le deviazioni concettuali, l'Unicef e l'orgoglio ferito. Rimembrare i successi, dandogli ancor più valore se rivalutati in un contesto istituzionalmente ostile come vuoi farlo apparire. 
 
Non è una malattia, Josè, la tua pareidolia. E' semplicemente un'illusione. Quella che, appunto, illude te - ma soprattutto gli altri - che, dietro quei visi, quegli uomini, quelle scelte, tutte casuali e disordinate, in realtà si celino delle inquietanti maschere di sospetto. Forme note, profili perversi, progetti maligni, sordidi inganni. Niente di tuto questo. Anzi.
 
Sempre da Wikipedia: "Si ritiene che questa tendenza sia stata favorita dall'evoluzione perché consente di individuare situazioni di pericolo anche in presenza di pochi indizi, ad esempio riuscendo a scorgere un predatore mimetizzato. La pareidolia consente spesso di dare una spiegazione razionale a fenomeni apparentemente paranormali, quali le apparizioni di immagini su muri o la comparsa di "fantasmi" in fotografie".
 
Paranormale come la danza che abbiamo raccontato poche righe fa. Gesto di soave sobrietà che, come decanta l'enciclopedia del popolo, non può che apparirti "apparentemente paranormale", cui tu invece cerchi una "spiegazione razionale". Peccato che non ci sia.
 
Peccato che tu non possa: forse perchè non vuoi, probabilmente perchè non puoi. Ecco perchè non è una malattia, la tua. E' solo la danza mentale d'un vincente sconfitto.
Nulla di preoccupante, Josè.
 
Tieni duro, e cerca di riciclare la tua spiccata pareidolia in qualcosa di più formante e performante. Difficile da tramutare in qualcosa di positivo in campo, ma certo funzionale ad una rivoluzione tua, personale, verso un approccio mediatico assai più elegante ed intellettualmente onesto. Anche perchè, a costo di ripeterci, non è una malattia, la tua: è solo una stupida illusione subcosciente. Almeno fino a un certo punto. 
 
Alfredo De Vuono