Chi credeva che la Juventus potesse ripetere all'Olimpico la stessa partita fatta 72 ore prima contro la Roma, si è dovuto ricredere dopo sei minuti. Fino al momento in cui Keita ha colpito il palo, con la complicità di Barzagli, si poteva pensare che l'esito della finale fosse davvero in bilico. Ma da quel momento in poi la Vecchia Signora, che di anni ne ha parecchi ma che dimostra la lucidità e la voglia di vincere di una ragazzina, ha giocato come il gatto col topo. Subito due fendenti al cuore delle velleità biancocelesti, giusto per far capire a tutti su che binario si sarebbe indirizzato il match. Poi, poco altro. Nel senso che nella mente di Allegri e dei giocatori è come se fosse scattato un meccanismo di self-control. Come a voler dire: il nostro lo abbiamo fatto, ora conserviamo le energie per le prossime fondamentali partite. Ecco perché, quando si parla della forza di questa squadra, c'è un termine che meglio di tutti la descrive. E cioè: disarmante. Non lo abbiamo di certo scoperto ieri sera, ma in 90 minuti è stata capace di palesare e innalzare all'ennesima potenza la definizione cardine di un gruppo vincente. Alcuni dei suoi pregi, forse, nemmeno sapeva di possederli. Perché frutto di una piacevolissima scoperta a stagione in corso.

Sul 4-2-3-1 è stato detto di tutto. Così come su Mandzukic che, da quando ha cominciato a giocare da esterno, si è pressoché annullato in fase realizzativa ma ha garantito (oltre ogni più rosea previsione) un equilibrio tattico che oggi può esser definito invidiabile con ancor maggiore convinzione. Ma Allegri non si è fermato qui. E' riuscito a rimettere Barzagli al centro di una retroguardia già senza di lui quasi imperforabile, pur senza tornare al 3-5-2. Come? Semplice: posizionando l'ex Wolfsburg da terzino destro e avanzando sulla trequarti Dani Alves. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: lo specialista classe 1981 ha dimostrato di poter fare la differenza anche sulla fascia, il brasiliano è diventato un fattore imprescindibile, essendo stato decisivo (tra gol e assist) in tutte le partite chiave di questo finale di stagione. Un'altra, l'ennesima trovata geniale di un allenatore che sta scrivendo la storia a modo suo. I fatti gli danno ragione: ha azzeccato tutte le mosse 'rivoluzionarie' o presunte tali, merita elogi sopra elogi.

Di fronte a questo scenario 'apocalittico', la Lazio ha potuto fare ben poco. E' sembrato quasi il copia-incolla del confronto di campionato dello scorso 22 gennaio: Dybala + Higuain nel giro di 17 minuti e remi tirati in barca. Il fatto che Strakosha sia risultato l'unico capitolino a meritare la sufficienza (e forse qualcosa in più) la dice lunghissima su quanto sarebbe potuto essere più ampio il punteggio finale. Le statistiche non mentono: Keita e compagni hanno cominciato a produrre più occasioni solo dopo 10 minuti dall'inizio della ripresa, con l'ingresso di Felipe Anderson e il ritorno al caro vecchio 4-3-3. Ma soprattutto, con un risultato ormai ampiamente acquisito. 

Allo stadio, in effetti, si respirava un'aria di rassegnazione: se i tifosi erano già un po' scettici prima del fischio iniziale, figurarsi al termine della prima frazione, con davanti una montagna enorme da scalare. Di solito si dice che nel calcio tutto è possibile. Compreso, dunque, il fatto di poter recuperare due gol di svantaggio in 45'. Un assioma non universalmente valido, come dimostrato spesse volte dalla Juventus (e gli attacchi atomici di Barcellona e Monaco ne sanno qualcosa). C'è poco da fare: quando questa squadra è al massimo della concentrazione, pur non essendo al completo (mancavano Pjanic e Khedira, ovvero il centrocampo titolare), non ce n'è per nessuno. Le appena 2-3 occasioni semi-limpide avute da Immobile e Keita, a fronte dei 72 gol segnati in 36 partite di campionato (gli stessi proprio della Juventus), rappresentano la cartina al tornasole di quanto sia complicato affrontare i campioni d'Italia. Oggi, più che mai. Il verdetto finale, terza Coppa Italia di fila a parte, è dunque evidente: Allegri ha costruito una macchina perfetta, un mix esemplare di solidità, classe, cinismo e 'cazzimma'. E per chi ancora si sorprende di come sia potuta arrivare in finale di Champions League, parlando di fortuna e di chissà quali altre diavolerie, ci sono due soluzioni: o è in malafede, oppure di calcio ci capisce pochissimo.