Lo stage azzurro si è ormai concluso, i 40 e passa chiamati a raccolta sono tornati a casa e Cesare Prandelli, condottiero nazional-popolare, ne avrà tratto così le sue indicazioni. “Ne ho in mente 18” ha ammesso il ct, che si suppone a questo punto dell'opera valuti a dovere i resoconti atletico-fisici raccolti nella due giorni appena organizzata per sciogliere gli ultimi dubbi rimasti. Ma non è di questo che adesso parleremo. Almeno in questa sede.
Perchè se da un lato la grande domanda è chi siano i cinque in bilico, l'altro grande interrogativo è sicuramente rappresentato da chi siano effettivamente questi diciotto, pare, già selezionati. E, soprattutto, che ruolo possano ricoprire in una squadra che, doveroso ricordarlo, di qui a poco meno di due mesi sarà impegnata in un ciclo di partite ravvicinate che verosimilmente non dovrebbe superare le cinque o le sei gare. Sogni permettendo e romantici a parte, s'intende. Ma senza troppa filosofia, o nostaglia, è necessario essere maledettamente pratici, cinici e poco inclini alle formalità: c'è chi in Brasile verrà portato per farsi una bella vacanza mare, relax e pallone, chi perchè parte del gruppo, chi invece perchè titolare inamovibile. Ed anche chi, dopotutto, avrà lo scomodo compito di dare un senso a tutte queste disperate analisi sul per chi e per come possa veramente valere la pena svenarsi nel tentativo di intuire e possibilmente svelare in anticipo i protagonisti della spedizione azzurra oltre la cerchia dei fidati e titolarissimi. In fondo in fondo, anche Barone, se non fosse stato per l'incantevole egoismo di Inzaghi, oggi sarebbe goleador. Oltre che campione del mondo.
Mario Balotelli è probabilmente oggi il più talentuoso attaccante italiano, già esperto e navigato, per quanto sia possibile affermarlo in merito ad un ragazzo pur sempre giovanissimo, di competizioni ad altissimo livello: le sue esperienze nella Milano calcistica e nella Manchester degli sceicchi hanno abituato Mario ai grandi palcoscenici, ma non per questo a divenire automatico protagonista delle partite più complicate. Tante le occasioni in cui Balo ha deciso sfide importanti, celebre è ormai l'esultanza azzurra a petto nudo e braccia pompate, ma tante anche quelle in cui il nostro Mario se ne è stato buono in un angolo, chiedendo un rigore che non c'era o cadendo ancora una volta nelle numerose provocazioni che gli avversari di turno sono soliti riservargli.
I numeri di Balo, chiamato alla prima stagione da protagonista e con relativo carico di responsabilità sulle sue spalle, non sono propriamente eccellenti: i pur rispettabilissimi 13 centri messi a segno sono pur sempre gli stessi che, esempio a caso, uno come Mattia Destro ha raggiunto in quasi metà del tempo giocato. Frutto anche di tre rigori, le marcature sono però orfane di due errori dal dischetto, dato numerico che se da un lato avrebbe certamente potuto incrementare il bottino, dall'altro ha mostrato una debolezza di cui si pensava Mario non fosse affetto. La forma fisica non è oggi delle migliori, un qualcosa probabilmente pagato anche a livello di assist, senza contare che diversi sono stati i momenti del campionato in cui il 45 ribelle ha attraversato periodi bui, a volte lunghi anche più un mese, in cui le cronache che lo riguardavano erano più per il solito gossip che per la bravura nell'andare in gol.
Tutti in Nazionale hanno un ruolo, si diceva. E quello di un giovane fenomeno, dal talento purissimo, dal difetto congenito di discontinuità e arrivato a fine corsa in forma fisica sicuramente non brillante, incappato in una stagione fatta di responsabilità e aspettative, in parte disattese e in parte rispettate, dovrebbe essere solo uno. I problemi però sono due: un nome oggettivamente pesante ed una reale mancanza di alternative. Che potrebbe invece, almeno per certi versi, essere apparente: oramai non è un mistero che Cassano, storicamente uno non abituato a risolvere partite in corso d'opera, grazie al suo straordinario campionato possa finalmente giocare con la maglia che merita. Come non è un mistero che questa stagione abbia offerto due nomi, come quelli di Destro e Immobile, che certamente non spiccheranno per esperienza e fama internazionale, ma che della caparbietà, dell'intuizione e soprattutto del gol ne hanno fatto un mestiere quanto un marchio di fabbrica. Ed allora, forse, un'Italia che rinunci, quantomeno dal primo minuto, ad un attaccante che oggi non sembra in grado di assicurare quanto invece garantito in altre occasioni, potrebbe non risultare folle. Senza contare che la battuta di Prandelli sui 9 centrocampisti da portare potrebbe essere molto di più di una banale provocazione. L'Italia, oggi, è questa. Non c'è nè da rammaricarsi, nè da meravigliarsi. Per una scelta coraggiosa, forse giusta e probabilmente sbagliata, però si.
Andrea De Pasquale