Della sofferenza, quella vera, che ti stringe le viscere e che ci terrà nel purgatorio dell'ignavia per altri 7 mesi, ancora, ho già parlato ieri, a caldo. Nell'immediatezza della più cocente oltre che apocalittica delle sconfitte. 180 minuti in cui l'Italia non è riuscita a far gol alla Svezia, ed a sormontare un muro giallo imponente e massiccio, che con tutta probabilità sarebbe bastato un gesto tecnico a scardinare. Di quelli che almeno in 10, tra gli azzurri convocati, sarebbero stati in grado di realizzare. 

Niente di tutto ciò: dopo un avvio più che soddisfacente, a fine 2016, l'Italia di Gian Piero Ventura s'è accartocciata su sé stessa, è crollata sotto il profilo nervoso ed ha perso ogni certezza, non solo tattica. Eppure il nuovo corso sembrava potesse in qualche modo dare nuovi e insperati frutti: a settembre di un anno fa, dopo la sconfitta con la Francia in amichevole, era iniziato un filotto senza sconfitte (e fatto di 23 gol segnati in 9 partite) che ci aveva portati addirittura alla decisiva sfida di Madrid ricchi di aspettative, e convinti di poter fare risultato. 

E invece no. 3-0 per la Spagna, e tutti a casa. Poi il lento e timidissimo trascinarsi verso gli inevitabili play-off, il gol fortunoso della Svezia a Solna, e il 90, inutili, minuti di attacchi a vuoto di San Siro. Ora la rivoluzione alle porte, per quanto ancora non si sappia con determinatezza quale sarà il destino, tanto di Ventura, quanto di Tavecchio. Spiace, e non poco, che ieri sera il CT non si sia dimesso. Come, per intenderci, fece 4 anni fa, pochi minuti dopo la disfatta contro l'Uruguay, Prandelli. Che, per inciso, vinse con 6 vittorie e 4 pareggi il suo girone di qualificazione a Brasile 2014, dopo aver vinto con 8 vittorie e 2 pareggi quello che ci portò, prima, a Euro 2012. 

Spiace, e non poco, dover accusare così palesemente il nostro CT. Come ho già scritto, e come peraltro ha anche ribadito un monumento come Buffon, in lacrime, ieri, si vince e si perde uniti. Le responsabilità del dramma sportivo più dolente (oltre che finanziariamente pesante) della nostra storia vanno suddivise anche con calciatori e dirigenti, ma tornando a parlare il più possibile di calcio giocato, non possono che essere dislocate su di lui, Ventura, le remore più impellenti. Ed a cui sarebbe bello, gratificante, e forse anche giusto che prima o poi dia risposte.

Alcune di queste domande, ovviamente, sono comuni. Addirittura banali, se si considera che in moltissimi, tra ieri e venerdi, si sono ritrovati a giudicare le sue scelte con diffidenza. Forti del nostro impeccabile e mai sgualcito abito da CT, certo, ma anche di un senso comune del calcio azzurro che non può che attraversarci le arterie. 

Le altre, un po' più raffinate, sono elaborate in virtù del percorso, lungo poco più di un anno, che l'allenatore ligure ha vissuto alla guida della squadra. Una squadra che adesso, volente o nolente, dovrà lasciare.

Premessa, e non poco, doverosa, prima di entrare nel merito dei quesiti. Il CT ieri notte in conferenza stampa ha già vagamente risposto ad alcune - poche, in verità - di queste domande. Ma il suo comprensibile stato d'animo, la stanchezza, l'ora tarda ed anche un umore ovviamente basso non gli hanno consentito di entrare nel merito.

Gian Piero Ventura e Carlo Tavecchio (getty)

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Domanda #1) Perché siamo fuori dal Mondiale 2018?

La più generica, apparentemente scontata, a cui forse ha anche parzialmente risposto. Ventura ha ritenuto che il nostro approdo ai play-off fosse scontato, considerato che a suo parere, e forse anche dal punto di vista di chi lo ha messo lì, sarebbe stato impossibile vincere il girone contro la Spagna (di cui comunque parleremo a breve). Il quid, in questo caso, è parlare di calcio. E del perché non si sia riusciti a far gol, in 180', ad una squadra che nel ranking, prima dello spareggio, occupava il 25° posto. E che, per dirne una, schiera come riferimento centrale difensivo un 32enne ex Genoa che da 4 anni è trascinatore del Krasnodar. E che, nelle tre sostituzioni fatte a San Siro, ha dovuto impiegare un centrocampista dei Seattle Sounders, uno del Crotone, e un attaccante del Waasland-Beveren. 

Domanda #2) Perché ha ribadito più volte che era scontato e che tutti sapevano che saremmo arrivati ai play off?

"Questa partita non mi toglie il sonno, anzi sono eccitato all’idea di giocarla e di andare in Spagna con l’intenzione di vincere". Sono parole sue, alla vigilia di Spagna-Italia di settembre.  Una sfida che dovevamo vincere, certo, ma che giocavamo fuori casa dopo aver pareggiato quella d'andata. Se ora ripete che tutti sapevano - al limite, "sapevate" - che sarebbe finita con i play off, significa che a Madrid si era andati senza garra. Cosa, peraltro, mostrata in campo. Eppure parliamo della sfida tra due Nazionali che venivano da un percorso simile, nell'ultimo biennio, ma contro la quale a Euro 2016, per la precisione il 27 giugno di un anno prima, vincemmo due a zero. 

Italia-Spagna 2-0, 27 giugno 2016

ITALIA (3-5-2): Buffon; Barzagli, Bonucci, Chiellini; Florenzi (Darmian), Parolo, De Rossi (Thiago Motta), Giaccherini, De Sciglio; Pellè, Eder (Insigne). All: Conte.

SPAGNA (4-3-3): De Gea; Juanfran, Piqué, Ramos, Jordi Alba; Fabregas, Busquets, Iniesta; David Silva, Morata (Vazquez), Nolito (Aduriz, Pedro). All.: Del Bosque.

Spagna-Italia 3-0, 2 settembre 2017

SPAGNA (4-3-3): De Gea; Carvajal, Piqué, Ramos, Jordi Alba; Koke, Busquets, Iniesta (dal 72’ Morata); Silva, Asensio (dal 77’ Saul), Isco (89’ Villa). All.: Lopetegui.

ITALIA (4-2-4): Buffon; Darmian, Bonucci, Barzagli, Spinazzola; Verratti, De Rossi; Candreva (Bernardeschi), Immobile (Gabbiadini), Belotti (Eder), Insigne. All.: Ventura.  


Se, d'altra parte, la sua convinzione era quella di giocarsi il tutto per tutto agli spareggi, perché se li è giocati con un modulo, il 3-5-2, che aveva messo da parte dopo le sue primissime settimane di gestione? Sono parole sue del 23 settembre scorso: "Ormai il 3-5-2 fa parte del passato". Eppure lo ha scelto sia a Solna che a San Siro.

Domanda #3) Perché abbiamo giocato l'intera partita di San Siro basandoci sui cross di Darmian e Candreva?

Posto che non parliamo certo dei due migliori crossatori del Mondo, il dato è statistico. Candreva ha crossato 17 volte, 5 delle quali riuscite; Darmian 5, riusciti 1; Florenzi, che ha giocato spesso sull'out, 12, riusciti 5; Chiellini 7, riusciti 2. Solo questi 4 giocatori, ieri, hanno messo in area per Immobile (15 gol di testa in carriera su 129 totali) e Gabbiadini (4 gol di testa in carriera su 81 totali) un totale di 41 cross. Tutti, fatalmente, inutili, contro Granqvist (1.92 metri) e Lindelöf (1.87 metri).

Domanda #4) Perché Jorginho, il miglior regista del campionato, numeri alla mano, è stato preso in considerazione solo negli ultimi, decisivi, 90'?

Che Verratti e Jorginho siano (teoricamente) incompatibili, per questioni di filtro e "somiglianza" tecnico - tattica, in molti sono convinti. Ma anche dando per buono questo assunto, per quale motivo l'italo-brasiliano non è mai stato minimamente preso in considerazione durante la sua gestione, tanto da rendere probabilissimo, ad un certo punto, il suo approdo nella Nazionale di Tite? E perché, visto che poche settimane fa dichiarava "Jorginho è un ottimo calciatore, ma le sue caratteristiche non sono quello di cui abbiamo bisogno" ora ha affidato a lui le redini della squadra nel momento decisivo? E perché non è mai stato provato, nonostante Verratti abbia saltato tantissime delle ultime partite della Nazionale per acciacchi vari?

Domanda #5) Perché, tornando sul problema tattico, s'è affidato ostinatamente al 4-2-4 e non al 4-3-3 (o 4-2-3-1)?

Che il 4-3-3 sia il modulo meglio conosciuto dalla stragrande maggioranza degli azzurri non ci sono dubbi. Questo modulo, con la variante del 4-2-3-1 (che, giocato alla Spalletti, è semplicemente un 4-3-3 con un regista di centrocampo leggermente più avanzato), è quello usato da tutte le migliori squadre del campionato italiano (Napoli, Juventus, Roma, Inter), oltre che dal PSG in cui gioca Verratti, dallo United di Darmian, dal Torino di Belotti. E' anche uno dei più semplici da digerire per chi non lo usa nella propria squadra di club, ed esalta le caratteristiche di alcune nostre eccellenze, come lo stesso Jorginho, Insigne e Belotti. Il 4-2-4, invece, ha penalizzato lo stesso Insigne, quando è stato impiegato, ha messo in difficoltà i non complementari Belotti e Immobile davanti, ed ha costretto anche il centrocampo ad essere sempre in inferiorità numerica. Nonostante, peraltro, a prescindere dai registi (Verratti o Jorginho) proprio i mediani e gli interni non ci manchino (Marchisio, Barella, Gagliardini, De Rossi, Parolo, Pellegrini), e col 4-2-4 ovviamente solo due di loro trovano spazio.

Domanda #6) Perché l'unico uomo in grado di cambiare la partita, Insigne, ha giocato in totale 14', e fuori ruolo, nei playoff?

Della sua collocazione tattica abbiamo già parlato. Ma qui è necessario anche entrare nel merito: l'attaccante italiano probabilmente più talentuoso in assoluto, ad oggi, titolare fisso ormai da anni nel Napoli che gioca il miglior calcio del campionato, è stato messo ai margini per via delle scelte tattiche. Troppo offensivo e inadatto nel 4-2-4, inutilizzabile da seconda punta nel 3-5-2. Ma spesso impiegato nel finale, per provare a cambiare le partite. Cosa che è successa anche in Svezia, dove ha giocato da mezzala, al limite esterno sinistro, come da lui stesso ribadito nel post gara: "Il mister mi ha detto se me la sentivo di sostituire Verratti e io ho detto di sì perché in qualsiasi ruolo ci fa giocare il mister dobbiamo dare il 100%". Poi è scomparso dai radar, a San Siro, dove la "mossa della disperazione" è stata Bernardeschi. Forse quello sfogo indiretto ha dato in qualche modo fastidio? Oppure era davvero necessario sostituire Candreva, perché non ce la faceva più? In ambo i casi, a Insigne sono stati concessi solo 14' su 180'. Pochini, come ribadito al CT anche dal suo amico, tal Peppino, genovese di Fuorigrotta. Che, come riportato da Repubblica oggi, avrebbe ripetutamente richiesto: "Ma perché non è entrato Insigne?".

Domanda #7) Perché Balotelli e Giovinco non hanno avuto spazio mai, neanche per uno stage?

A posteriori, non si può certo dire che il comportamento di Immobile e Belotti sia stato inadatto, o che il loro rendimento sia stato sotto la media. Parliamo dei migliori due centravanti italiani in assoluto della Serie A, che per numeri e centralità nei rispettivi club non si possono discutere. Intorno a loro, però, hanno ruotato, nell'ordine, Zaza, Gabbiadini, Eder, Pellé, Pavoletti, Lapadula, Petagna, Sansone, Politano e Inglese. Ieri sera, nella più importante partita della sua carriera, è stato "costretto", anche per via degli acciacchi di Zaza, ad impiegare appunto Gabbiadini (3 gol in 12 partite, quest'anno, al Southampton: come Budimir al Crotone). Non sarebbero stati più utili i mezzi tecnici di due "emigrati" celebri del nostro calcio, seppur ormai abituati a ritmi, e difese, non proprio di primo livello? A dirla tutta, ieri, gli svedesi hanno messo in campo un difensore dello United, uno del Celtic, uno del Werder, uno del Krasnodar. Gente che potrebbe serenamente essere affrontata dagli stessi Balotelli e Giovinco con la maglia del Nizza o del Toronto.

Domanda #8) E' vero che la squadra l'ha "mollata" dopo la Spagna? E' vero che le ha chiesto di cambiare modulo?

E, soprattutto, come si dice in giro, è vero che ha minacciato di andarsene poco prima di un appuntamento così decisivo? Quanto hanno contribuito le opinioni dei cosiddetti "senatori" al cambio modulo ed al passo indietro rispetto al 4-2-4? E che indice è stato, in tal senso, ad esempio, il rifiuto di De Rossi ad entrare in partita, a vantaggio di compagni più offensivi e tecnici come El Shaarawy e Insigne?

Domanda #9) Lei non si è ancora dimesso. Non lo ha fatto solo perché non ha ancora avuto il confronto richiesto con la Federazione o i motivi sono altri?

Già, perché tutti, probabilmente anche Tavecchio e Malagò, si sarebbero attesi le Sue dimissioni già ieri sera, in conferenza stampa. E invece ha rimandato tutto a domani, quando a Roma si terrà quella che il Presidente federale ha definito "una riunione per prendere le scelte future". Si discuterà forse anche di soldi, e delle mensilità che le rimangono da percepire rispetto al suo contratto? Non riterrebbe più coerente, soprattutto rispetto al suo pluridecennale e onorevole percorso calcistico, sia sul campo che dalla panchina, prescindere da queste beghe e rassegnare le dimissioni a prescindere? E se il problema non fosse questo, davvero ritiene che sarebbe in grado, tecnicamente e psicologicamente, di avviare il nuovo corso che dovrà portarci a competere per Euro 2020?

Domanda #10) Come si sentì, da bambino, quando l'Italia non partecipò ai Mondiali del 1958?

Lei, CT, è del '48. Come raccontavo poco dopo la sfida di Solna, sarà stato un bambino, di 10 anni, alle prese con la scoperta del gioco più bello del mondo, durante quell'altrettanto maledetto Irlanda del Nord - Italia 2-1 che ci estromise per la prima volta dai Mondiali. Sicuramente avrà provato qualcosa di simile rispetto a ciò che tutti noi, più giovani, ci apprestiamo a provare. Anche perché, come dicevo ieri, l'elaborazione del lutto - ahinoi - la realizzeremo solo da qui a diversi mesi. E allora, cosa si prova a star fuori dal Mondiale? Come si vive quest'esilio forzato dalla casa dello sport che qualsiasi sportivo, tifoso e bambino sogna e ammira, sin da quando si approccia a questo magico mondo? E ora che torna indietro con la mente e con il cuore a quelle, immagino, spiacevoli, sensazioni, cambierebbe qualcosa del suo operato?