Potrei uscirmene con un “ve l’avevo detto”. O col più banale dei “lo sapevo io…. Ma alla fine, tanto, nulla cambierebbe. Walter Mazzarri lascia l’Inter, dopo un anno e qualche mese fatto di incomprensioni e speranze e di un legame, specie con la parte più popolare del tifo, mai sbocciato pienamente. Ma il rapporto che ha legato una realtà come quella nerazzurra al tecnico di San Vincenzo è stata non solo pervasa da sentimenti contrastanti, ma contrassegnata anche da risultati concreti, come quelli ottenuti la scorsa stagione con il ritorno in Europa e così come quelli, sicuramente meno esaltanti, ottenuti nel corso del suo secondo anno, in un campionato che ha saputo risvegliare le reazioni più viscerali di stampa e tifo per non aver sempre rispettato le attese.

 

Quella della pioggia, avranno pensato i maligni, non è riuscita a digerirla neanche Erick Thohir. Che, sino a pochi giorni fa, si era invece detto pronto a confermare, nonostante il disagio di qualche risultato oggettivamente imbarazzante, ancora una volta Mazzarri come allenatore della sua Inter. Il tutto in nome di un progetto: una parola il cui utilizzo ha rischiato negli ultimi anni di creare più di qualche scompiglio, il cui abuso ha probabilmente ingenerato confusione all’interno di chi, invece, avrebbe dovuto cercare di mettere razionalità ad una realtà estremamente frammentata. Walter Mazzarri resta, perché solo pochi mesi fa gli è stato rinnovato il contratto ma soprattutto la fiducia. Resta perché sino ad un anno fa era il secondo allenatore più ricercato d’Italia e pur di prenderlo e confermarlo, l’Inter si è impegnata a garantirgli uno stipendio di primissima fascia in un momento pur economicamente non florido. Mazzarri resta perché un progetto tecnico che si rispetti ha bisogno almeno di un anno per potersi esprimere ed affermare nella sua pienezza. Mazzarri invece se n’è andato, perché la fiducia evidentemente ha un limite, e perché questa, con ogni probabilità, non è ancora l’Inter di Erick Thohir.

 

Ammettiamolo pure: ad un giorno dal suo primo compleanno da presidente interista, l’indonesiano il regalo se l’è fatto. Costoso, per carità, ma pur sempre regalo. E non tanto per l’arrivo di questo o quell’altro, ma perché cacciare Mazzarri, oggi, rappresenta la prima, vera ed incondizionata scelta di Erick Thohir. Che il buon Walter, diciamolo, un po’ se l’era anche ritrovato. Scelto da Massimo Moratti, la conferma di Mazzarri, dopo il raggiungimento dei risultati prefissati all’inizio della scorsa stagione, era tutto sommato inevitabile. Perché cominciare una stagione sportiva alla guida dell’Inter con un contratto di un solo anno sarebbe stato un suicidio annunciato, e perché cambiare dopo degli obiettivi raggiunti sarebbe stato francamente folle. Un tecnico, Walter Mazzarri, che magari non riuscirà ad esaltare le masse, ma il portafogli dei presidenti sì: era successo già a Napoli, e la speranza indonesiana è che succedesse anche all’Inter. Un tecnico amante e seduttore della cultura del lavoro, che il calcio ha dimostrato di intenderlo ed applicarlo sempre in una certa e rigorosa maniera. Insomma, forse costretta, ma la scelta Mazzarri non è che fosse poi così campata in aria.

 

Così, nel frattempo, Thohir ha avuto il tempo di sedersi, guardarsi attorno e cambiare. Tanto, forse troppo, ma per rendere l’Inter sempre più sua. L’organigramma si è praticamente rivoluzionato, e l’uscita di scena di Moratti di qualche settimana fa ne ha certificato gli esiti. Ma di mosse vere e proprie, ad oggi, se ne devono ancora vedere. Strano, perché a Nyon, dove la UEFA ha interrogato l’Inter sul passivo in bilancio, qualcosa Thohir avrà pur dovuto raccontarla. Ma cosa? L’espansione del brand e del marketing nei mercati asiatici è sembrato uno spot accattivante, ma al momento privo di riscontri, a patto che tutti questi termini tecnici (ed ovviamente in lingua, altrimenti di che imprenditore staremmo parlando?) significhino 14 giorni da passare in Indonesia quest’estate. Il progetto stadio, fondamentale in un momento come questo del calcio italiano, pare essersi arenato dinanzi ai lavori di ammodernamento di San Siro per la finale di Champions ed i continui tira e molla con la Barbara dirimpettaia rossonera. A livello di settore giovanile, fare meglio di così, pare francamente difficile. La soluzione? Tagliare, tagliare e ancora tagliare. E fin quando ci sarà un Ausilio a salvarti la faccia potrebbe andare anche bene.

 

Un po’ per il progetto, un po’ perché fare diversamente, con questi conti, sembrava impossibile. Ed invece, Erick Thohir, ad un giorno suo compleanno, l’ha fatto lo stesso. E pazienza se tutte quelle conferme, quelle belle parole spese per affermarsi diversi e lontani dalle tradizioni italiane debbano andare dimenticate. E pazienza anche se, a pensarci bene, quello che oggi dovrà percepire un disoccupato di lusso poteva invece averlo un potenziale campione in mezzo al campo. Dopo un anno, fuori il primo. Mettetevi le sciarpe, che comincia a fare freddo. Proprio come ai vecchi tempi.

 

 

Andrea De Pasquale