Aveva ragione Carmelo Bene - ci mancherebbe altro - “I calciatori della nazionale non sono che undici ragionieri in mutande”. Nulla contro i ragionieri - non so nemmeno se ce ne siano ancora in giro - passino solo come strumento della metafora, ma non ci si può aspettare che un inseguitore di arbitri, o quattro sedicenti abbacchiati coi procuratori facciano da paladini della giustizia e delle grandi morali.

 

Lo ha detto pure Abete, e ha detto bene, che la nazionale di calcio ha poco da spartire con i simboli antimafia - verità, ma non tutte le verità fanno onore - e che nessuno vuole convincersi che in fondo i calciatori, sempre quelli della nazionale, devono soltanto pensare ad andare in campo e a giocare bene. Perfetto, non fa una piega. Non fa una piega, se per qualcuno può farla non c’è niente di male, che i calciatori di un pallone che ha compiuto più di un secolo, che fa i conti, almeno dice di volerli fare, con i grandi passi del progresso, si fa giustificare se glissa gli inviti etici e pensa soltanto a fare bene il proprio lavoro.

 

Si chiama burocrazia, catena di montaggio (con tutto il rispetto per chi la catena di montaggio, quella vera, l’ha sofferta e la soffre ancora), non alzare la testa e limitarsi al senso del dovere. Sia ben chiaro, aderire a questo o a quello è nel libero arbitrio. Figuriamoci se interessa a qualcuno se Tizio o Caio si sentano o meno simbolo di qualcosa. In fondo, se devono esserlo con le forzature e le ipocrisie di fondo, meglio non esserlo affatto.

 

Non condivido chi invece vuole attribuire al calcio tutto e il contrario di tutto senza distinzioni. Non è vero che il calcio non può avere simboli, non è vero che il calcio non ha avuto simboli importanti, così come non è vero che il calcio debba limitarsi a fare il proprio gioco, così come non è vero che attraverso il calcio l’uomo non si sia mai nobilitato. È un falso storico, grave e in malafede.

 

Il pallone ne ha avuti di personaggi che attraverso le loro imprese hanno fatto autentiche rivoluzioni, che hanno provato a cambiare le cose che consideravano sbagliate e che hanno lasciato patrimoni morali e intellettuali di grande umanità. Ancora oggi il futbol nasconde, a volte ho la sensazione che voglia quasi tutelarle da questo imbarbarimento collettivo, storie e aneddoti commoventi e preziosi. Anche i calciatori, gli allenatori, i dirigenti, gli scrittori, che hanno popolato con dignità e intelligenza il mondo del calcio, e che si sono contraddistinti per dissolutezza, ribellione, che hanno imposto, loro malgrado, la decadenza del mito, piuttosto che la falsità dell’eroe fasullo, hanno badato pure a salvaguardare gli aspetti più intimi e rigorosi della loro esperienza, senza mai offrire modelli incauti e sprovveduti.

 

Il calcio somiglia alla strada. Puoi trovarci di tutto. Passanti, mercanti, balordi e criminali, bambini, poeti e disperati. Se volti l’angolo trovi l’opposto di quello che avevi visto un attimo prima. Se pratichi la vita senza pregiudizi, forse impari a confondere meno l’inconfondibile. Se un calciatore è un maleducato? Vale la giustificazione di qualcuno. In fondo, deve soltanto giocare a calcio. Tuttavia conta solo che lo faccia bene. Se una federazione vieta che la nazionale partecipi a una manifestazione popolare, giustificando il divieto col fatto che la FIFA non è d’accordo? Tanto meglio. Lasciamo che sia l’intelligenza popolare, se c’è, a pensare a sé. Pure nel calcio troverai, e si trovano ancora, quelli che smettono i panni del burocrate e tirano fuori la personalità del libero pensatore, pure quella che aspira a diventare simbolo.

 

Quelli che invece sono bravi, che sanno giocare così bene da risultare adepti della sopportazione e non dell’approvazione generale, continuino pure a fare soltanto i calciatori, se ci riescono. Ogni fenomeno umano vive i suoi gradi di separazione. Forse se ne parla troppo. Troppi stuoli di telecamere. Meglio sarebbe lasciarli al loro lavoro. La partita, e dopo i novanta minuti e passa di recupero, spegnere tutto e abbandonarli, si fa per dire, al loro cartellino immaginario, che non è giallo e né rosso.

 

Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka