Breve recap delle puntate precedenti.

Niente più House of Football, e niente più - almeno su Sky - calcio inglese che tanto bene ha giocato, amato, e raccontato. Paolo Di Canio non lavorerà più per la TV satellitare.

Anzi, è stato cacciato dai vertici della TV satellitare perché è fascista. Per la precisione, è stato cacciato dai vertici della TV satellitare perché questi si sono accorti che è fascista. Per essere ancora più precisi, è stato cacciato dai vertici della TV satellitare perché i social hanno sottolineato che ha un tatuaggio con la scritta 'DVX' sotto il braccio, l'hanno fatto notare ai vertici della TV satellitare, e questi si sono accorti che è fascista.

Entriamo nel dettaglio, perché il livello di penetrazione della notizia è ancora limitato.

a) Sky prepara uno spot per promuovere il suo nuovo programma ('Di Canio Premier show').

b) Sky pubblica sui social una foto che lo ritrae (e che sicuramente non s'è fatto da solo), in cui posa in maglietta, e dalla quale si nota la scritta 'DVX', tatuata sotto il braccio.

c) I social insorgono contro Sky.

d) Sky, che si accorge di aver diffuso, più o meno ingenuamente, quelle immagini, caccia Di Canio.

Il motivo in realtà non andrebbe neanche spiegato, perché non c'è. E difatti il vicepresidente con delega allo sport, Jacques Raynaud, non l'ha fatto. Limitandosi a dire che "È stato un errore pubblicare quell’immagine, abbiamo sbagliato. Ci scusiamo se abbiamo offeso la sensibilità di qualcuno e dopo aver parlato con Paolo, di comune accordo, abbiamo deciso di sospendere la collaborazione, nonostante la sua professionalità".

Eh, già. Ce lo vedo proprio, Paolo Di Canio, a interagire col cameraman e il fotografo: "No, o mi fotografate a maniche corte e inquadrate bene il tatuaggio o niente". Un tatuaggio che, peraltro, Di Canio - uno dei talenti più fulgidi del più fulgido calcio italiano di sempre, quello degli anni '90 - s'è fatto anni e anni fa. Di certo più di 10 (e, vedremo poi, forse anche 15), visto che in uno dei due momenti della sua carriera che più vengono ripresi - il saluto romano a margine del derby del 6 gennaio 2005 vinto dalla sua Lazio per 3-1 - esso è assai ben visibile. Un frame, questo, che sui social, sulla stessa TV, ed in generale nel mondo espanso che è oggi il web è passato immune rispetto ad ogni critica, solo perché assai secondario rispetto al più grave, quello sì, saluto fascista ai tifosi. Ma che, evidentemente, per parte dell'opinione pubblica, e di certo il grosso della reggenza Sky, non è tollerabile, in un programma suo. Colpa di due lacrime di inchiostro sottocutaneo, stilizzate ad arte, per qualcuno, di modo da istigare al fascismo. Farne addirittura apologia, come da una legge di 65 anni fa, in quanto rientrante nella categoria di "chiunque pubblicamente esalti esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo". Eppure nessuno ha visto nessuno anche solo citare il Duce. In nessuna delle sue esternazioni pubbliche, tanto meno in uno spot in cui si parlava di calcio. Ed in cui l'unica, possibile, ingenuità, è stata commessa da chi non gli ha consigliato di mettere una polo a maniche lunghe. Peccato che nessuno, durante una carriera lunga 20 anni, abbia mai pensato di imporgli di indossare una casacca a maniche lunghe anche durante le partite amichevoli estive che si giocano sotto 40 gradi. E meno male che, quando giocava lui, ancora non s'erano inventati l'anticipo delle 12:30.

Di Canio al West Ham (getty)

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Ci ho messo parecchio tempo, ma alla fine l'ho trovata. Quella che vedete è la più vecchia foto disponibile (almeno da parte della nostra agenzia fotografica) di Di Canio che denota il tatuaggio incriminato. Risale al 2002, ai tempi del West Ham (dove, per inciso, il nostro segnò 53 gol in 140 partite, e vinse un'Intertoto, un Premio Fair play e un 'Hammer of the Year'). Posto che quel tatuaggio avrebbe potuto farselo anche anni e anni prima, da allora Di Canio giocò per altri 6 anni. A Londra e a Roma, non proprio nel cortile di casa, insomma. Dove le telecamere, a gara in corso o a fine partita, chissà quante migliaia volte l'avranno inquadrato, a bicipite scoperto, per una frazione di secondo, e dove i fotografi l'avranno immortalato altrettante volte. Ed in nessuna di queste, mai, anche il più antifascista dei tifosi, suoi o avversari, ha mai pensato di sottolineare la cosa. Eppure la Legge Scelba era in vigore già da un po'.

Di Canio con suo amico Foe, che morì in campo il 26 giugno 2003 (getty)

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« Quanno dai la mano a uno te po' capita' de strigne

quella de no' zozzone o quella de 'n ladro o 'n delinguente.

Perciò salutamose tutti a la romana:

se vorremo ancora bene, tenendose a distanza! »

(Trilussa)

La verità è che di problemi, Paolo Di Canio, per via delle sue idee, per quanto assolutamente non condivisibili, ne ha già avuti parecchi. Fossero esistiti Facebook e Twitter nel 2005, quando diede vita al celebre terzetto di esternazioni romane (per le quali venne deferito e multato) in campo, probabilmente oggi le stesse parole di Raynaud le avrebbe proferite Lotito. Perché sì, è giusto, ovvio e inevitabile far pagare chi "esalta metodi", in quel caso un saluto, "del fascismo". 

Molti anni dopo, da allenatore del Sunderland, venne aperta nei suoi confronti un'?inchiesta della Football Association. Motivo: i presunti insulti razzisti, urlati in presenza dei suoi compagni, rivolti al francese Orient Jonathan Tehoue. Una bolla di sapone. Di Canio si disse "né fascista, né razzista". E non si capisce come potrebbe essere altrimenti, per un calciatore che ha trascorso un terzo della sua carriera in uno dei campionati più ricchi di calciatori di colore, ed in un Paese che è modello per l'integrazione. I tabloids, però, prima di parlare degli ipotetici e più volte richiesti arretrati della società nei confronti di Tehoue, andarono anche a ripescare la storia delle sue simpatie politiche. Che, peraltro, già avevano fatto parlare i tifosi, e che portarono alle dimissioni del vicepresidente David Miliband, laburista che fu ministro degli Esteri del governo Brown. Pochi giorni dopo il Daily Mail pubblicò la foto di un altro tatuaggio, stavolta sulla schiena, dello stesso Di Canio. Un'aquila con al centro il viso di Benito Mussolini.

Questa, invece, è la volta del tatuaggio sul braccio. E spiace. Semplicemente.

Spiace che la TV italiana più ricca di contenuti, moderna, giornalisticamente avanzata, ricca e tecnologica cada in un errore di tale banalità, come a voler disconoscere una storia personale così evidente, sepolta sotto qualche centimetro di stoffa (in meno).

Spiace che si debba sospendere l'opinione, peraltro assai ferrata e competente, divertita e divertente, d'un ex calciatore del suo calibro per via d'un messaggio non volutamente inviato, ma in ogni caso - forse anche casualmente, come abbiamo dimostrato - arrivato. Come un messaggio mandato per sbaglio su whatsapp, la cui fatale terza spunta s'è accesa nonostante si fosse nel più sperduto degli antri, dove si fa fatica a respirare, figuriamoci a ricevere in 3G. Spiace che quell'opinione sia sbagliata, ma personale, e comunque privata, seppur scivolata via per via d'un'ingenua messa a fuoco e d'una banalissima scelta d'abbigliamento sbagliata. Spiace che un personaggio del genere paghi, peraltro, proprio nel momento in cui non c'era alcuna intenzione, né modo, di palesare un'ideologia, per quanto discutibile ed a mio parere inconcepibile. Spiace che debba essere un tatuaggio, ancora nel 2016, a colpevolizzare una persona. Perché, no, un fermo immagine silente, seppur scelto con superficialità, non può andare a banalizzare la sua professionalità. Che in TV ha trattato solo il pallone, e nella fattispecie la Premier League, e che da quando in generale è nel mondo del mondo del calcio ha sempre evitato l'argomento, limitandosi a chiarire che trattasi, legittimamente, di aspetti della propria vita privata e sociale che non devono interessare e di cui non ha mai inteso parlare. Ma che i tatuaggi, se non coperti, evidentemente riescono a far parlare comunque. Almeno per qualcuno. 

Firmato, un antifascista. Convinto. E tatuato.