Chi, come il sottoscritto, non si nutre da anni delle rare chicche del denutrito sottobosco del cinema, certo non avrà visto 'Camerieri', del 1995. Una delle prime - e poche, purtroppo - opere di Leone Pompucci, che è anche il suo lavoro, a mio modo di vedere, più completo ed originale. Parliamo d'un dipinto grottescamente neorealista e stupendamente nichilista - 'all'amatriciana', come lo definì Morandini - d'un ventaglio di magistrali interpretazioni della commedia italiana. Completamente ambientato in un ristorante del tirreno romanesco, più che romano, è la storia a tinte fragorose d'una variopinta serie di mostri sacri del grande schermo atti ad autodipingersi di nero, pur restando nel godereccio àmbito dell'innata comicità. L'anziano proprietario della trattoria, Ciccio Ingrassia (al suo terzultimo film) ha ceduto l'attività ad un giovane, avido e rampante mobiliere, Antonello Fassari, figlio di Carlo Croccolo, che decide di festeggiare, proprio nel giorno in cui rende nota la vendita, le sue nozze d'oro nel decaduto ristorante. Ma non è solo il giorno della festa. Anzi, l'occasione è più che altro il sanguinolento test per decidere chi sbattere per strada dei (pochi, e magistralmente interpretati) dipendenti ereditati dal vecchio proprietario.
L'isterico cuoco Antonio Catania, o il rude Diego Abatantuono? Il saccente maitre Paolo Villaggio, o il suo ingenuo nipote Enrico Salimbeni? O magari il disincantato Marco Messeri? Il pranzo diventa quindi una feroce lotta alla sopravvivenza, durante il quale chi si ferma è perduto e chi antepone il proprio, consunto, ego, al servizio, viene seccamente freddato dal potere.
"Calcio appetibile? Per me appetibile semmai è un piatto di maccheroni" (M.F.)
Non è solo per spingervi a vederlo, che ho voluto intingere la intro di questo pezzo nella trama di cui sopra. Ma è anche e soprattutto perché alcune di quelle atmosfere, battute, stoccate e rapporti sociali che sembra di rivedere, nel film blucerchiato di questi ultimi giorni. C'è un pezzo, a modo suo, di storia che se ne va, e lascia all'intraprendenza di chi sinora, d'un certo mondo, non s'è mai occupato. C'è un diffuso alone di aleatorietà rispetto a chi resta, in quell'attività, e si ritrova all'improvviso, a doversi giocoforza confrontare con l'imprevedibile. C'è il pallone, che s'addentrerà - sottoforma di Totocalcio - nelle vite degli odiosi, e per questo affascinanti, protagonisti. E c'è, infine, una certa - non spiacevole, in verità - dose di rumorosa effervescenza, tipica romana, che pervade luoghi e modi storicamente ad essa disabituati. E c'è lui, Massimo Ferrero. Che di 'Camerieri' fu organizzatore generale, e della Sampdoria, da poco più di 48 ore, è Presidente.
"Vivrò qui, a Genova. Prenderò un mini appartamento, anche perché i soldi che avevo li ho spesi tutti per comprare la Sampdoria" (M.F.)
Cinema e calcio, soprattutto in Italia, non sono mai andati d'accordo. Se si escludono i due allenatori nel pallone, l'indimenticato Borgorosso Football Club e qualche altra sporadica chicca - la Marchigiana, 'Ultimo Minuto' di Avati e '4-4-2' - tutto il resto è sia qualitativamente che numericamente trascurabile. Ed è uno dei paradossi più incommentabili del Belpaese, culla della settima arte almeno sino a qualche anno fa, ed a sua volta, contemporaneamente padre putativo e figlio assai prodigo della passione più innata e virale. Dopo le donne e, probabilmente, anche prima del cibo.
Ho sempre cercato, e mai trovato, un motivo consistente a questo mancato connubio. Più volte ho provato a scavarlo, in profondità, nel pensiero di Frank Capra, uno dei primi pater familias della pellicola, che sosteneva con veemenza come il cinema fosse uno dei tre, soli, linguaggi universali, insieme alla matematica e la musica. Una short list che, forse non a caso, non prevede il pallone.
"Io vorrei portare un calcio spettacolo. E fare due cose: sia il business che lo spettacolo, che devono andare in parallelo" (M.F.)
Da oggi, e dopo Cecchi Gori, Berlusconi e De Laurentiis, ci proverà anche Massimo Ferrero a ribaltare l'imponderabile assunto. Già. Perché è lui a seguire cavalcare l'onda degli imprevedibili: di quelli che bussano alla porta di chi, seppur a modo suo, ha fatto la storia del calcio italiano, e, per cause quasi sempre finanziarie, si ritrova a doversi fare da parte. Pallotta, Thohir, Giulini e, da oggi, Ferrero. Anzi, Massimo 'er Viperetta': perché il calcio, per noi che non a caso siamo italiani, ha bisogno di stereotipi e vagheggi, collocamenti retorici e caratteriali, vezzi e vezzeggiativi.
"De Laurentiis? E’ una grande persona, ma e lui che si è ispirato a me. Intanto lo aspetto sul campo: vinceremo noi, per 3 a 1" (M.F.)
E allora ecco che, per chi fino a ieri si limitava a fare da fedele narratore dei Mantovani e di Duccio Garrone, di Boskov, Vialli, Mancini, Cassano e Pazzini, questo rubicondo e fumantino imprenditore testaccino entra furibondo e inatteso con il - non certo gradito - soprannome di 'Viperetta', come lò rinominò, almeno così si dice negli ambienti - Monica Vitti. Il motivo? Perché la difese apertamente un giorno, di molti anni fa, da un tizio che la infastidiva. Con raro vigore, audacia, e senza peli sulla lingua, pur essendo bassino e non certo notevole, come come impostazione fisica. Ecco perché negli ambientini del cinema, da buon testaccino verace, sicuro di sé, brillante, autoriferito, senza peli sulla lingua e con molti sullo stomaco è da molti visto come un rompipalle. Caricatura che, in realtà, a suo modo appare utile ed adeguata anche allo spesso banale e conformista mondo del pallone.
"Sò un poro contadino der cinema italiano, io. Non mangio caviale e disturbo" (M.F.)
Perché in realtà gli ambienti di calcio e cinema non differiscono poi così tanto.
#MassimoFerrero con #Quentin Tarantino alla prima di #Django al #cinema Adriano. pic.twitter.com/Ow2NzSdU
— Massimo Ferrero (@unavitadacinema) 7 Gennaio 2013
In entrambi si ambisce, legittimamente e senza esclusione di colpi, al successo ed al denaro. Ed anche di soldi, nelle sale e tra gli attori, ne girano tanti. In pochissimi, però, riescono, con più o meno merito, a conquistarsi sia la fama che il conseguente ritorno economico. E Ferrero, che ad agosto compirà 63 anni, è uno di questi. Seppur il rapporto tra le due non sia certo ugualmente proporzionale. Pur essendo, di fatto, il quarto proprietario di sale cinematografiche italiano, il suo seguito mediatico fino a poche ore fa era assolutamente equivalente rispetto a quello d'un mediocre calciatore di Lega Pro. Qualche centinaia di followers su twitter (nonostante un profilo quantomeno interessante), due righe biografiche - che da oggi hanno sfondato la decina - su Wikipedia ed un (cog)nome che, i più, associavano più comodamente al cioccolato che al dorato mondo. E' nel momento in cui si viene presentati, nell'incredulità generale, come nuovo Presidente d'uno dei clubs più antichi e storicamente rispettati d'Italia che le cose cambiano. Per lui, quasi sicuramente in meglio. Per la squadra, sperano i tifosi, altrettanto.
Anche perché l'epopea di Mantovani è finita da un pezzo. E nonostante i recenti fasti del vecchio Duccio, l'epoca in cui il Doria partiva come scheggia impazzita - appunto, proprio come Ferrero - nelle previsioni estive di chi stila le ambizioni di classifica di Serie A, il buon Edoardo certo non sembrava poter far sperare in nulla più, rispetto a quanto s'è visto negli ultimi mesi.
"Io sono figlio d’arte. Mio nonno un giorno mi dimenticò a Cinecittà. Per fortuna poi venne mia nonna a prendermi" (M.F.)
E' a questo punto che spunta Ferrero. Una trattativa lampo, seppur i primi abboccamenti, dicono i bene informati, risalissero a parecchi mesi fa. E i soldi? No, di quelli Edoardo e Massimo non parlano, almeno in pubblico. Di certo qualche decina di milioni, da una parte all'altra, è passata. E se così è, da dove vengono gli altri, in grado di garantire "lo spettacolo e le vittorie" promesse in conferenza stampa?
Beh, dal cinema, dal suo Ferrero Cinemas Group. E dall'esportazione di formaggi all'estero della moglie Laura Sini, ereditiera di un noto gruppo caseario del centroitalia. La stessa zona in cui lui, Ferrero, gestisce circa 60 sale cinematografiche: una quindicina delle quali di assoluto lustro (e produttività), ed altrettante figlie - rilevate - del gruppo Cecchi Gori dopo il fallimento. Destino simile a quanto accaduto alla Livingstone: aviazione civile, per intenderci, da lui acquisita nel 2009 attraverso FG Holding. Una parentesi assai opaca, in una vita intera da operaio del cinema, che s'è definitivamente conclusa ieri con un patteggiamento per bancarotta.
"Chi sono? È noto. Nasco in un teatro di posa, ho prodotto 60 film e girati 150" (M.F.)
In vita sua, e nel suo mondo, Ferrero ha fatto di tutto. Ecco perché ora ha molti amici e altrettanti nemici. Attore, direttore di produzione, organizzatore generale, produttore esecutivo e, da una ventina d'anni, anche indipendente. E proprietario di sala, ovviamente. Insomma, tutti ruoli che adesso, da Presidente, dovrà redistribuire ai vari Braida - organizzatore generale -, Osti - produttore esecutivo - e Mihajlovic - regista - . Gli attori, ovviamente, dovrà comprarli. E pagarli. Profumatamente, se davvero vuole riportare la Samp dove dichiara di voler riportare.
"Paolo Mantovani ed Edoardo Garrone sono inimitabili. Hanno fatto l'Italia" (M.F.)
E lui, l'imprevedibile Massimo? Beh, da buon factotum del cinema dovrà anzitutto sapersi riciclare professionalmente. Pur senza perdere neanche un pizzico né di quell'asprigna verve né di quel rudimentale brio che serve, tanto alla Sampdoria per riemergere dopo quasi un lustro d'anonimato, quanto ad un emisfero socio-culturale, quello del calcio, in cui i personaggi e le storie non sono mai abbastanza: ma ben vengano solamente quando mantengono le promesse. Soprattutto quando le promesse provengono da chi, all'apparenza, pare non poter essere in grado di mantenerle.
Er Viperetta che sposa il Baciccia, agli occhi di chiunque, oggi, appartiene alla schiera degli impròvvidi. Catapultatosi senza paracadute in un circuito che non gli appartiene.
Io, i Ferrero, nel pallone, invece, me li tengo. E pure volentieri. Perché sono come i Cassano. Sarà proprio per questo che, nella sua prima uscita, il nuovo patron ha parlato proprio di Fantantonio. Alimentando così, con gli epici e amorevoli ritorni, il dorato mondo dei sogni. La cui fabbrica, vuoi o non vuoi, resta sempre il cinema. Forse proprio quello di Massimo Ferrero.
"Vincere. Solo così possiamo dare lavoro, spettacolo, posti di lavoro e notizie a lei. Ed a quella sua bella cravatta" (M.F. ad un cronista in conferenza stampa)
Alfredo De Vuono Segui @AlfredoDeVuono