Fatalità, caso, scherzo del destino, fortuna, sfortuna, "sfiga". Preferirei fermarmi onde evitare di sconfinare il limite tra il serio e il faceto per descrivere il primo vero match di rilievo che la Champions League 2011/2012 ci servirà come antipasto. Una competizione che, spettacolo a parte, si annuncia davvero dura per il calcio italiano. Figuriamoci per chi affronta i campioni, la squadra che mira a diventare simbolo calcistico del secolo, per chi ha vinto tutto, per chi si definisce "Mes que un club"!
 
Il Milan questa sera al Camp Nou affronta il Barcellona targato... targato tutti. Il Barca delle meraviglie, la squadra che definimmo unica quando era targata Rijkaard e di cui abbiamo, ormai, terminato gli aggettivi d'elogio da quando alla sua guida c'è Pep Guardiola. Parliamo di un club che ebbe l'"accortezza” di liberarsi dei suoi due giocatori più forti (e costosi), al tempo Deco e Ronaldinho, per continuare a stupire e a stupirsi. 
Da una parte Loro, l'undici guidato da Messi, dall'altra il Milan del nuovo ciclo targato Allegri.
 
 Il Milan che non potrà arruolare tra le sue fila Zlatan Ibrahimovic, per uno strano scherzo del destino, quello avverso di cui sopra, il vero ospite atteso che la sfida si dichiarava ad avere. 
 
Quella tipologia d’invitati che mai vorresti mancasse alla tua festa ma che la sua presenza ti crea timore; il panico che rubi via la scena, il timore che gli occhi puntati su di lui, eclissino quanto di buono e meno buono farai. 
 
Quanto sarebbe stato utile in panchina Filippo Inzaghi? Il suo sguardo fulmineo e la manifesta sicurezza, l'indifferenza ai flebili fischi prima dell'ingresso in campo, mentre affianca il quarto uomo, quasi imbarazzato nel chiedergli se per la centotredicesima volta che si appresta a entrare sul terreno di gioco, non gli sia venuta in mente la malsana idea di indossare dei tacchetti irregolari. Gli ingenerosi fischi che accompagnano l'uscita di chi gli cede il posto tramutano in silenzio, quello "assordante", prima contraddizione d’incauta e involontaria convinzione che chi sta entrando in campo è in grado di cambiare le partite in un attimo. La volontà di prenderti beffa di un avversario ma la consapevolezza che quell'uomo, quel giocatore, come pochi è in grado di fare delle avversità un bene. Provi a dire che "Va tutto bene", che a trentotto anni non può far male, ma la conscia incertezza e al contempo convinzione s’insinua in te e il pensiero fugace che quell'"essere" è in campo nonostante ha già frantumato due volte il ginocchio, ha rotto due dita del piede,  e da sempre lotta contro problemi a caviglia, gomito e schiena… di certo non lo fermeranno dei fischi.  
Già, solo quegli eterni secondi sarebbero stati sufficienti per inarcare il sopracciglio di Mascherano, spingere inconsapevolmente la mano destra di Guardiola verso la nuca, poggiando la sinistra al fianco, quasi a sorreggere mente e busto, in attesa che il fato non sia così crudele, come, ad esempio fu non più di un anno fa contro i cugini della capitale.
Per far correre un brivido lungo la schiena a migliaia di spettatori.
 
 
Il "rischio" non ci sarà, la regia dell'attacco sarà affidata ad uno tra Alexander Pato e Antonio Cassano (con il primo in vantaggio), due così diversi, così uguali. Talentuosi ma sempre mancanti di quel guizzo che consacra all'immortalità calcistica. Il primo, il meno giovane e quanto mai sprecone nella sua vita (per lui, non per chi gli ha sempre dato la seconda chance), l'altro, il più giovane, per nulla girovago ma sempre in attesa del colpo di fino, della giocata decisiva, quella che forse c'è già stata, visto che l'Italia accanto ad Alex Del Piero vanta un solo nome in grado di realizzare una doppietta al Bernabeu, ma mai sufficiente ad accontentare l'accozzaglia di giornalismo di derisione e mancato appagamento, tipici del nostro paese.
In porta ci sarà Abbiati, non quell'Amelia che tanto fece intristire mentre raccoglieva la palla in fondo la rete contro il Real di Ronaldo; la colpa non fu per niente sua, ma preferiamo il primo. La difesa sarà composta da Abate, ZambrottaThiago Silva e Nesta. Per il difensore laziale, dopo anni di creazioni di fortune altrui col solo onere di fargli compagnia, è arrivata l'ora di esigere fortuna e aiuto, e solo con l'ausilio del più forte difensore del mondo ciò è possibile. A centrocampo il primo vero nodo da sciogliere. Con Gattuso squalificato, Ambrosini e Nocerino si contenderanno un posto, con Van Bommel, Seedorf, Emanuelson e Aquilani in lizza per due maglie. Il regista sarà Boateng, la cenere o la gloria. Forse, neppure lui è cosciente della sfida che lo aspetta.
 
Match come questi hanno una sola chiave di lettura tattica, gli allenatori, quelli veri, lo sanno bene. 
 
L'ultima storica sconfitta del Barcellona è targata aprile 2010 ed è per opera dell'Inter di Jose Mourinho da Setubal. Quel giorno il tecnico adottò, causa anche un'immediata espulsione di Thiago Motta, un sistema difensivista impressionante. In una squadra dove l'unica punta, l'uomo più avanzato, Milito, gioca sulla trequarti avversaria, la definizione di catenaccio sarebbe a dir poco riduttiva. L'Inter ebbe ragione e, critiche di gioco a parte, disputò 180' contro la più forte squadra del mondo e vinse, contro tutto e tutti, vinse perché meritò di vincere.
 
Sette mesi dopo, lo stesso tecnico da Setubal, rinfrancato dai complimenti e dagli elogi e convinto riflesso d’immunità critica, propose il credo tattico opposto, con marcature meno standardizzate e più libertà per i suoi interpreti da 300 milioni di euro. Il risultato fu un reboante 0-5.
 
L'onere della scelta spetta a mister Allegri. Nessuna critica o rassegnazione prima del match, nessun consiglio tecnico-tattico, insulso addossamento di colpe per infortuni "evitabili" o "dito puntato" per particolari liste. Solo la richiesta di una promessa: "Scrivere la storia"!
 
 
 
Fabio Guzzo