Non si offendano i giapponesi, l’affettuosa conferma ci arriva pure dalla citazione di Troisi, quando in Scusate il ritardo, ricorda la lezione ripetitiva di un suo compagno di scuola, secondo il quale i “giapponesi sono bassi”, ma Nishimura ha fatto di tutto pur di rassomigliare al “giudice” di De Andrè, con quell’arbitraggio che a definirlo maldestro verrebbe da ridere, ricoperti dal ridicolo di un eufemismo a dir poco forzato. Soprattutto, non ditelo ai croati.

 

Ma più ancora, al giudice di De Andrè, rassomiglia questa FIFA, il potentato senza precisa identità che a ogni mondiale si porta dietro. E sì, perché i campionati del mondo col calcio giocato c’entrano ben poco. Quasi tutte le edizioni della storia del calcio sono state “macchiate” da errori, o meglio orrori, arbitrali che hanno indirizzato partite e coppe nelle mani giuste, perché spesso, troppo spesso, il risultato del campo deve rispondere a una particolare esigenza politica. Negli anni ‘30 Hitler e Mussolini fecero il bello e cattivo tempo, nel dopoguerra i paesi sudamericani organizzavano mondiali dove poter esercitare le loro ritorsioni, vedere Cile ’62, e giù fino al campionato criminale in Argentina, nel ’78, fino a quello mai chiarito dell’82, a quello ancora più fasullo della finale di Roma del 1990, senza considerare quello più recente del 2002, passato alla storia come un mondiale tra i più falsati dagli arbitraggi.

 

Pallone fasullo, vale la pena dirlo, subito, non come qualche cronista poco coraggioso, avvolto nella sua sciarpa di buonismo radical chic, rivolta a giustificare a tutti i costi le decisioni disastrose dell’arbitro giapponese. Piantiamola con le cose dette e non dette. Il Mundial funziona così. Non è possibile che il Brasile, finto gigante, non vinca la partita inaugurale nel suo stadio, davanti al suo pubblico plastificato dentro una platea ancora più fasulla e dirottata dell’arbitraggio. Nemmeno due partite e questo mondiale ha già il sapore dell’artificio. È l’apoteosi dei cuoricini, dei loghi computerizzati, degli emoticon su vasta scala, delle musichette da quattro soldi, peraltro pure offensive nei confronti di un paese, come il Brasile, che ha una tradizione culturale tra le più raffinate del mondo.

 

Mondiale da pupazzi, che sin da subito non ha perso tempo per falsare la prima partita. E non ci vengano a parlare di buona fede, di errore punto e basta, perché in questo caso il punto non andrebbe neanche messo. Ci sarebbe da continuare, da fare appello, da cassare ogni decisione per ricominciare daccapo. Invece deve andare così, con le partite in mano ad arbitri thailandesi, cinesi, coreani, che col pallone non hanno niente a che vedere e che, pure questo è strategico, fa comodo far passare per ottimi arbitri, ma solo presunti, così da giustificare con altrettanta presunta incompetenza di fondo i loro fischietti maldestri.

 

Non lo so chi vincerà, non lo so se hanno stabilito chi debba vincere, non lo so se sia tutto marcio. Se, come ha scritto Montale, “chi crede che la realtà sia quella che si vede”, allora ci sarebbe da dividersi tra due ipotesi. È tutto in buona fede, pure l’evidente incompetenza, il ridicolo, qualcosa che non vale la pena nemmeno di commentare, oppure nel mondiale della tecnologia, anch’esso altrettanto maldestro coi suoi ritardi e le sue contraddizioni, ma così tanto a cuore alla FIFA e ai potentati “misteriosi”, c’è qualcosa che bisogna far finta di non commentare. Processi alle intenzioni Esasperazioni? Nemmeno questo so, come chi assiste “alla cattedra d’un tribunale, giudice finalmente, arbitro in terra del bene e del male”.

 

 

 

Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka