Lorenzo Insigne ha compiuto duecento presenze con la maglia del Napoli. Tra goal e assist il computo complessivo del suo contributo alla marcatura si avvicina ai cento goal. Un ragazzo che in questi anni di Napoli ha dovuto correre per strade segnate dalle trappole di quel moto perpetuo che giudica sempre con severità la parte “indigena” di queste rose in forma di pallone (Pasolini ci perdoni per la citazione quasi inversa). Se sei napoletano, se sei originario, cresciuto e vissuto nell’hinterland intorno al Vesuvio, finisci inevitabilmente rubricato nelle disposizioni alla perfezione. Non puoi sbagliare, non puoi prendere fiato, non puoi cadere nelle contraddizioni. Insomma, non puoi. Pure rendersi detestabile qualche volta è un’ancora di salvezza. Ma ai nativi di Parthenope ogni concessione è avvertita come un lusso. Forse c’è del bene, forse ci sarà dell’affetto pure e soprattutto in questo, ma il calcio, pure quello milionario, è bello se visto dall’occhio saggio di chi comprende quanto sia difficile starci dentro col dovere di accontentare tutti.

Lorenzo Insigne, nella Napoli post "milionaria" - o forse dovremmo dire milionaria, perché rea, in certi casi, di dimenticare i tempi bui e angusti del calcio amarissimo, severa oltremisura, esigente, spocchiosa - ricorda un po’ un Pinocchio sorto poco a poco dalle mani di illustri e abili artigiani. Prima Zeman, col suo calcio offensivo, ha tirato fuori l’estro realizzativo del Lorenzo mandato a crescere nella bella provincia pescarese, poi Benitez, dopo l’utilizzo non sempre generoso di Mazzarri, a idearne l’intelligenza e a intuirne la predisposizione tattica, impartendogli lezioni su un calcio moderno e internazionale, per farne quel calciatore totale che la cura definitiva e ultima di Maurizio Sarri ha egregiamente perfezionato nel suo ruolo ormai indispensabile.

Insigne, il Pinocchio nato da un legno pregiato, ha scacciato subito il ciuco per farne una figura amica, in segno di umiltà, come il Ciuccio partenopeo insegna. Di umiltà per la ragione appena descritta, perché questo calciatore ha saputo imparare da ogni allenatore, ha saputo assorbire gli insegnamenti e le idee di chi ne ha compreso il valore e, per certi versi, anche il carattere, a volte al centro di critiche e di polemiche. E, se queste siano state giuste o ingiuste, che finiscano presto nel dimenticatoio dei trucioli caduti durante la sua costruzione. Il calciatore compiuto che altrove troverebbe più elogi, più gratificazioni dai media, più fiducia dalla nazionale, che oggi è tra i più belli da vedere e da poter impiegare (lo sarebbe in qualunque squadra), che unisce estetica e sostanza, vanta ancora una giovinezza bambina, da scugnizzo, l’ultimo scugnizzo. Ogni tanto, la Napoli calcistica così desiderosa e affezionata ai luoghi comuni e ai suoi stereotipi, dovrebbe ricordarsi anche di questo.

Lo scorso anno Insigne ha chiuso la stagione in doppia cifra sia nella casella delle reti che in quella degli assist vincenti, con report statistici che lo hanno consolidato tra i rendimenti migliori d’Europa. Quest’anno, oltre ad aver raggiunto già la doppia cifra, ancora una volta, nella classifica dei cannonieri, è secondo in quella degli assist, nella speciale classifica che relaziona gli assist vincenti anche a quelli non trasformati in rete. Numeri che, di fatto, ne confermano sia il valore tecnico che quello tattico, se si considera anche l’esigenza non secondaria richiesta dal suo allenatore. Insigne spesso garantisce pure una notevole fase di copertura difensiva. Non è un caso che Rafa Benitez lo utilizzasse moltissimo e che Sarri, poi, abbia fatto e stia facendo lo stesso. Un patrimonio, un grande calciatore, ma di quelli veri, non un presunto talento in attesa di consacrazione. Se giocasse in qualche altra squadra, seguirebbero molti più elogi. Del resto, anche Pinocchio ha dovuto affrontarne tante, anche oltre la sua testardaggine, prima di trovare il codice della sua disciplina.

Nota di merito non da poco. Quando il Napoli ha dovuto affrontare l’infortunio di Milik, nel periodo di rielaborazione dell’assetto tattico, che ha poi regalato un Mertens scopertosi grande realizzatore anche da punta centrale, il calciatore (fino a quel momento in un periodo di difficoltà) che ha reagito con maggiore personalità alle difficoltà della squadra prendendosi qualche responsabilità, in certi frangenti mettendosi pure la squadra sulle spalle, è stato Lorenzo Insigne. Di tutto questo, allora, ne facciamo una ragione d’elogio? E sarebbe pure ora.