Il San Paolo lo vedrà correre e giocare anche negli anni che verranno. Con José María Callejón si sorvolino le statistiche. Si parla di un calciatore che nei suoi anni al Napoli ha portato alla sua squadra centinaia di goal. Sì, tra goal, assist e giocate decisive, diventano centinaia le segnature nello score di un calciatore che merita senza ombra di dubbio di essere ricordato tra i giocatori più grandi capitati all’ombra del Vesuvio. Un giocatore al quale i suoi allenatori hanno chiesto di ricoprire tanti ruoli diversi, contando sulla sua duttilità e sulla sua incredibile capacità atletica. Pochi calciatori negli ultimi decenni in Europa hanno garantito un rendimento e un’affidabilità atletica pari a quella di Callejon. Tutto confezionato in goal meravigliosi, giocate di tecnica raffinatissima e un’intelligenza tattica sopra la media. Il quoziente intellettivo di Callejon è quello dei grandi matematici e il suo piede è quello dei fini scrittori spagnoli del Siglo de Oro.

Tuttavia, non è quello che adesso, ora che è arrivato il momento di ammettere e di accettare che la sua esperienza a Napoli sia conclusa, fa più rumore dentro le emozioni di chi lo ha apprezzato e continuerà a farlo. 
José Callejón è arrivato a Napoli col sogno di grandezza iniziato da Rafa Benitez. È arrivato a Napoli dalla scuola Real, subito accolto con la diffidenza di chi credeva fosse uno scarto. Eppure, la tara si è subito trasformata in un netto prezioso e indispensabile. Non c’è stato allenatore che non se ne sia servito senza badare ad alcun risparmio. Mentalità diverse, intendimenti differenti, visioni personali, ma sempre con Callejón. 

La cosa che più resta, però, è il significato che questo calciatore ha avuto. I suoi sette anni si collocano in quel grande mancato azzurro che è il trionfo a lungo inseguito in questo periodo, ora sfiorato e ora deluso da ricordi ancora vivissimi. L’attaccante spagnolo è uno dei simboli di quel grande rimpianto che ancora oggi dice la cosa più potente e malinconica che si possa dire a un tifoso: “Che peccato non aver vinto lo scudetto con un calciatore così”. E lui lo avrebbe senz’altro meritato.

Il saluto definitivo alla maglia del Napoli di questa persona contiene il motto di spirito di quella parola, sogno, che nei suoi anni napoletani è stata pronunciata tante, troppe volte, fino a convincersi che certi desideri sarebbero stati condannati a restare tali. Eppure, lui è rimasto sempre saldamente dove è stato sistemato sin dal suo primo giorno. Con fierezza e in silenzio, senza farsi turbare. È stato come certi scrittori d’altri secoli. La sua parabola ricorda quella di Pedro Calderón de la Barca, l’ultimo grande rappresentante del Secolo d’Oro spagnolo. Sua l’opera La vita è sogno. Non la vita è un sogno, ma La vita è sogno, che è tutto un altro significato. Ecco, la percezione descrivibile intorno al significato di José María Callejón nella sua esperienza a Napoli è questa. Una dolce condanna a sfiorare la grandezza. A Napoli sono caduti pure gli dèi. È storia antica.

Comunque, il carico di malinconia, che maturerà pure in una certa e inevitabile nostalgia di questo grande giocatore, non si arresta sulla linea della sconfitta. Qui il mancato del sogno non c’entra con la delusione. È come ne La vita è sogno di Calderón de La Barca, in cui alla fine uno dei protagonisti risparmia la vita al rivale perché capisce che sia nella realtà che nel sogno non c’è ragione per rovinare la felicità dell’uomo, tanto essa sia fragile e sfuggente. Gli anni col Napoli di José María Callejón sono stati così, dentro un senso di felicità che sarà ricolmo di malinconia, ma che a chi gli ha voluto bene concederà sempre di ricordarlo con gli occhi accesi: “Che giocatore che era Callejón!”.