La fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo. Può suonare quasi come un luogo comune in stile Alessandro Cattelan feat. Noemi, ma è l'amara realtà che sta vivendo la Lazio da una settimana a questa parte. Tutto comincia mercoledì 28 febbraio. La finale di Coppa Italia è a un passo, basta battere il Milan di Gattuso, in gran forma ma costretto con pressoché assoluta certezza a trovare il gol, visto che almeno uno lo avrebbe incassato. Stiamo sempre parlando del miglior attacco del campionato, no? E invece, accade il contrario: la sfida scavalla i 120 minuti, nella lotteria dei rigori si va a oltranza fino all'errore di Luiz Felipe. Seguito dalla 'malinconica' trasformazione di Alessio Romagnoli. Laziale, sotto la Nord, senza esultanza. "Vabbè - avrà pensato qualche tifoso biancoceleste - sarà stato un caso isolato". Macché. Tre giorni dopo ecco la Juventus, ancora all'Olimpico. Partita più equilibrata del previsto, considerata soprattutto la stanchezza che attanagliava la squadra di Inzaghi. Il penalty non assegnato per fallo di Benatia su Lucas Leiva è l'anticamera della seconda beffa di fila. Che, puntualmente, arriva a 15 secondi dalla fine e porta la firma di Dybala. Un girone più tardi, la Joya si trasforma da anti-eroe (Strakosha gli negò dagli 11 metri il 2-2 a Torino) a protagonista positivo del confronto diretto. Fino ad arrivare a ieri sera, all'Europa League a cui tutti tengono. A quel palo di Immobile al 95' esatto che grida ancora vendetta.


Come esce la Lazio da questo trittico di incontri casalinghi? Forse non con le ossa rotte, ma ci siamo molto vicini. Un obiettivo su tre è ormai svanito, un altro è quasi compromesso (la Dinamo Kiev in questa stagione non ha mai perso in casa e si è confermata più rognosa del previsto). Resta la Serie A, con il traguardo del quarto posto da centrare a tutti i costi per evitare che l'annata da semi-trionfale si trasformi all'improvviso in deludente o - addirittura - fallimentare. Sette giorni all'insegna della sfortuna che hanno un po' "macchiato" quanto di buonissimo fatto fino a questo momento. Ma spiegare e giustificare il tutto in questa maniera sarebbe quanto mai banale e riduttivo. La flessione di Immobile e compagni, a parte qualche svarione difensivo di troppo (che però è stata pressoché una costante quest'anno), ha il volto di due giocatori in particolare: Luis Alberto e Milinkovic-Savic, senza ombra di dubbio tra i principali artefici di un cammino brillante. Il loro recente calo è sotto gli occhi di tutti: lo spagnolo, dopo aver rinnovato fino al 2022, non incide più a livello di bonus e prestazioni come riusciva a fare prima, il serbo nelle ultime tre partite (al netto dello splendido assist di ieri sera per il provvisorio 2-1) sembra stia cominciando a giocare con eccessiva sufficienza o persino svogliatezza. Non a caso quest'ultimo rischia il turn-over a Cagliari, a vantaggio di un Felipe Anderson che si sta confermando a pieno la vera arma in più di questo finale di stagione. Gli ultimi sette gol realizzati dal brasiliano, tra campionato e coppe, sono arrivati tutti tra le mura amiche: appena ricomincerà a essere decisivo anche in trasferta, sarà impossibile tenerlo fuori dall'undici titolare. In ogni caso, tuttavia, vale la pena scoprirlo già a partire da domenica pomeriggio, alla Sardegna Arena, arretrando Alberto in mediana e confermandolo come spalla di Ciruzzo là davanti.

Cagliari e Kiev, poi il Bologna in casa: un altro snodo cruciale, da 270 (e forse più) minuti. Inzaghi lo sa benissimo: sta per cominciare un'altra settimana da cuori forti. Sperando che anche la Dea bendata, finalmente, si svegli e faccia la sua parte.