Il 4 aprile, per l’edizione delle ore 20;00, il TG1 manda in onda un servizio sulla Napoli della Coppa Davis. Ci sarebbe da andare a scovare chi lo ha scritto e chi lo ha montato, oltre a chi lo ha pensato. Non si capisce bene se quei 90 secondi di “alto” giornalismo raccontino della Coppa Davis o se siano più intenzionati a lasciare intendere che Napoli non ne sia degna.

 

Mentre le immagini passano in rassegna gli appassionati di tennis accorsi ad assistere agli incontri del prestigioso torneo, il commento di fondo si sofferma su un guasto alle vie fognarie, sulla palazzina crollata pochi anni fa e sui lavori in corso “troppo duraturi”. Un paio di interventi raccolti per strada condiscono di sano e onesto senso dell’ammissione il notevole dossier sulla Napoli in pena di sé. La chicca, tuttavia, è il cameo del venditore di ombrelli e di impermeabili, colpevole di turbare la trasparenza e il candore del giro di affari della Coppa Davis. Gli appalti per la fornitura di ombrelli sono entrati subito in crisi.

 

Non si sa se sia più da voltastomaco la gestione "condominiale" del servizio del tg o il senso che senso non ha, di un’accozzaglia di notizie che si riducono alla reprimenda alla città perché è saltata una fogna, perché ci sono i lavori per la metropolitana e perché sono stati visti in giro gli ambulanti degli ombrelli durante una giornata di pioggia.

 

Il bello è che nessuno può prendersela con la solita storia del tg che ce l’ha con Napoli, nessuno può scagliarsi contro la solita propaganda antipartenopea, pure quando questa sarebbe inutile e superflua, perché il direttore del tg1 è napoletano, almeno all’anagrafe. In fondo, però, nemmeno questo conta, perché pare che alla Coppa Davis si siano divertiti molto di più gli inglesi, capaci di inscenare uno spettacolo nello spettacolo dello svolgimento delle gare, all’interno dello scenario del Golfo.

 

Proprio gli inglesi, quelli che più di un secolo e mezzo fa, a dispetto dei ridicoli proclami dell’unità, determinarono i giochi politici per la composizione d’Italia, meglio sarebbe chiamarla così. Proprio gli inglesi, che mai fanno mistero, mica scemi, della creatività altrui e dei luoghi che pure se non gli appartengono, fanno il possibile entrino nel loro raggio d’azione culturale.

 

Invece il tg1, che non smette mai di fare da strillone al populismo da quattro soldi in cui è andato a ficcarsi il giornalismo italiano, tenta lo sputtanamento fuori luogo della Napoli che in uno spazio piccolissimo, a mo’ di parentesi ricreativa gioviale e spensierata, ospita per un momento una cosa alla quale non fa così dispiacere essere ospitata in uno dei luoghi più belli del Mediterraneo.

 

Ci voleva il servizio lampo della RAI per denunciare i guai di Napoli? Ci voleva la Coppa Davis per spifferare ai quattro venti che Napoli è una città votata all’autodistruzione? E poi, per favore, se proprio si deve parlare male di Napoli si scelgano altri argomenti. Un po’ di rispetto. Lo impongono l’etichetta delle cattive maniere e la misura di tutti i mali. Che mancanza di riguardo dire la “Napoli dalle due facce” riducendo quelle cattive a un tombino saltato e ai ritardi dei lavori pubblici.

 

A Napoli ci sono guai peggiori, per sfortuna. E tra questi, uno che di rado viene denunciato nei tg, diciamo mai, è quello dei finti napoletani, pure quelli nati a Napoli, ma comunque finti. Quelli sì che avrebbero dovuto pagare lo scotto di certe manovre di politica internazionale. Invece, proprio loro, si prestano pure alla brutta figura, pur di allinearsi a certe pratiche. Il problema del giornalismo italiano è l’ombra dei suoi mecenati.

 

Achille Campanile ha scritto, “Giornalismo. Un tempo toglieva uomini alle lettere; oggi - il che è più grave - ne dà”.

 

 

Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka