Non paragonate il Napoli-Liverpool della scorsa stagione a questo Napoli-Real Madrid. E non colpevolizzate i singoli tanto quanto andrebbero elogiati i collettivi. Così come il pallone a botta sicura si fermò sotto il sedere di Buyo e il diagonale di Mertens colpì il palo, così il tiro di Valverde a cento all’ora, deviato da un difensore e carambolato dietro la schiena di Meret, ha deciso una partita che avrebbe potuto avere ogni tipo di risultato. Dall’inizio alla fine in bilico e in dominio altalenante. I numeri dicono di un equilibrio perfetto in cui le due squadre hanno differito per una manciata di passaggi e altri episodi insignificanti. Solo uno è stato decisivo, tanto quanto avrebbero potuto fare gli altri prima di quello.

Tuttavia questo è un aspetto che a una certa stampa, che non sappiamo se sia da ipotizzare in malafede o in linea con quel condizionamento algido e razionale, anche un po’ limitato, del calcolo della partita, o meglio, della competizione, non riesce ad andare giù. Diventa merito se pende da una parte, demerito e incapacità se decide contro l’altra. Perché se il Napoli avesse vinto o pareggiato, il verso della critica sarebbe cambiato a favore di risultato, ma avrebbe ugualmente e superficialmente trascurato che quasi certamente sarebbe stato un altro tipo di episodio a decidere una partita di quel tipo.

La gara col Real vale più come consacrazione per una squadra che già dall’anno scorso ha ampiamente dimostrato di poter avere almeno una possibilità di fare strada in una competizione storicamente e politicamente riservata a un’aristocrazia del calcio in cui non sono pochi i club che hanno faticato molto prima di riuscire a vincerla e non sono pochi quelli che hanno investito tanto senza mai riuscire a conquistarla.

Smettendo definitivamente quel criticismo di inferiorità che sa un po’ di vittimismo inverso, forse sarebbe il caso di interpretare quello che si è visto ieri in questo modo. Come una partita tra la storia del calcio e una squadra che è all’altezza di competere a questi livelli. Come ha giustamente e in maniera sottile dichiarato proprio De Laurentiis alla fine della partita di ieri: “Ho visto un Napoli che sa competere”.

Dall’altra parte c’è stato un signore che vale sì l’appellativo di fuoriclasse, che alla fine del primo tempo ha fatto registrare un dato impressionante: 100% di passaggi riusciti. Si chiama Toni Kroos ed è contro di lui che il Napoli si è misurato. Dall’altra parte c’è stato un giocatore che non ha più nelle gambe una partita intera, almeno a questi livelli, ma che in una frazione di gara sa cambiare gli equilibri tattici come nessuno al mondo. Si chiama Luka Modrić.

Il Napoli si è misurato con questi calibri e, in tutta onestà, la differenza non si è vista. E non perché i calciatori del Napoli siano superiori a questi, perché non è così, ma perché tutta una squadra si è mostrata di quel livello dentro quel livello. Chi conosce bene il calcio e i suoi meccanismi, chi sa quanto è sempre più difficile al cospetto di una natura avversa e articolata di proporzioni, si rende liberamente di quanto il Napoli abbia già compiuto da tempo l’impresa e che quest’attribuzione meriti pure di essere definitivamente superata per far sì che la realtà sia giustamente considerata in un’altra dimensione.