È bastato un tempo per accontentare tutti quelli che per tanto tempo hanno dovuto ricredersi su quello che adesso può essere tirato nuovamente fuori. Sì, perché in fondo nella sconfitta interna con la Lazio il Napoli ha ceduto in quella ripresa in cui gli equilibri sono stati decisi da un pallone ingenuamente perso a centrocampo. Un palleggio troppo disinvolto ha spinto i partenopei nell’ombra dell’inquietudine.

In una partita strana, dove il tabellino dice che gli uomini di Garcia hanno tirato in porta il quadruplo della Lazio, che nello specchio della porta hanno calciato il doppio (la Lazio, merito suo, ha centrato lo specchio due volte e due volte ha trovato il gol) degli avversari, che hanno tenuto la palla quasi il doppio della squadra di Sarri, che hanno calciato più del triplo dei calci d’angolo e che per trequarti di gara hanno tenuto il pallino del gioco dentro la metà campo avversaria.

Tuttavia poco conta, perché nel calcio i numeri del soccombente, anche se superiori, non ne giustificano la sconfitta. Ma hanno valore, sia pur parziale, per leggerne il comportamento tattico e la sua complessa tensione. Se Garcia ha cambiato Kvara (alla sua prima gara dal primo minuto) quando c’era da recuperare, se non ha tolto Anguissa e se ha cambiato tutta la catena di sinistra, non è così semplice da capire e da condannare. Il Napoli ha perso la partita perché ha commesso alcuni degli stessi errori che raramente ha commesso nella scorsa stagione. Pure con Spalletti, pure con Kim. A dispetto di chi crede che l’imperfezione svanisca quando le cose vanno bene. Concetto difficile da far comprendere in un calcio molto subdolo e ingeneroso.

L’incapacità di leggere un frangente e la smania di pensare di dover vincere tutte le partite hanno condotto il Napoli alla sconfitta con la Lazio anche nello scorso campionato. Stesso avversario, stesse proporzioni del tabellino (anzi, nella gara di quest'anno il Napoli sul piano dei numeri è stato addirittura superiore a quello della partita della scorsa stagione) e stesso esito. Il Napoli di quest’anno, forse, dovrebbe maturare l’idea di non doversi superare a tutti i costi, ma di comprendere che i campionati si conducono, e non per forza vanno dominati correndo all’impazzata e ad alta velocità. Al di là degli errori arbitrali, lo scorso anno la mancanza di lettura del frangente è costata al Napoli la possibilità di accedere alle semifinali di Champions League. 

Garcia dovrebbe cercare di calcolare questo ancora più di quanto fatto dal suo bravissimo predecessore. Senza paragoni – brutta storia i paragoni – e senza l’ossessione di superarsi o di pareggiare l’incredibile. Quello si chiama così perché si verifica raramente. Un Napoli in grado di raggiungere il successo conducendo un campionato in una competizione più serrata sarebbe ancora più bravo di quello che l’anno scorso lo ha vinto dominando in lungo e in largo. Differenza sottile, ma per cui passa una certa storia della serie A. Il secondo tempo con la Lazio, negativo come pochi negli ultimi campionati, deve avere questa pedagogia.