Diciamoci la verità: magari gliel’avesse fatto davvero il cucchiaio, Pellé! Perché avrebbe fatto sicuramente gol, regalandoci l’accesso alle Semifinali di un Europeo che, invece, sarà tramandato ai posteri per il gesto che ha preceduto il calcio di rigore, spedito malamente fuori dallo specchio della porta difesa da sua maestà Manuel Neuer. A quest’ora staremmo ancora a bearci del nostro grande eroe che ha sbeffeggiato il portierone tedesco prima e dopo il penalty decisivo: italians do it better, no?
Senza avere la pretesa di universalizzare il concetto, è altamente probabile che magna pars di quelli che, in queste ore, stanno sbeffeggiando Pellè per quel gesto, sono esattamente gli stessi che lo avrebbero esaltato proprio per lo stesso motivo, se solo avesse segnato.

Purtroppo non è andata così e quindi giù con il massacro social-mediatico a Graziano Pellé: perché un rigore così non si tira nemmeno in piazzetta – come se l’errore umano non sia contemplato – perché questa è la generazione dei bamboccioni viziati, vada a fare il “tronista” da Maria De Filippi, non ha avuto rispetto, umiltà, etc. etc., il tutto condito da variegate offese per colorire un concetto impastato con abbondante dose di moralismo e analisi del gesto tecnico.
Nessuno che abbia pensato che quello di Pellé sia stato un gesto dettato dalla tensione accumulata, anche dalla paura di sbagliare: tutti cinici rigoristi, gli italiani, oltre che santi, poeti e navigatori? Buono a sapersi.
Anche Zaza ha avuto la sua cospicua razione di pensieri “d’affetto”: eppure la sua unica colpa è quella di essere entrato 12 secondi prima della fine della gara. Che poi, ovviamente, non è nemmeno colpa – che parolone! – sua.

Innanzitutto una precisazione: questa che state per leggere non vuole essere una difesa d’ufficio per Pellé. Anche perché, personalmente, non lo avrei nemmeno convocato per questi Europei, preferendogli gente che è arrivata alla fine della stagione in condizioni fisiche straripanti (Belotti del Torino, riguardare il gol fatto a Udine, per averne conferma) e che ha concluso in crescendo il campionato, denotando vigoria fisica e capacità tecniche sopra la media (Pavoletti). Detto questo, oltre alle due reti messe a segno, bisogna riconoscere il grandissimo lavoro che il centravanti pugliese ha svolto per la squadra, sempre pronto a sgomitare con gli stopper avversari e a dare una mano ai compagni anche nella propria metacampo, con ineguagliabile generosità. Rivedibili alcune sue giocate, soprattutto certi triangoli che, per essere chiusi, avrebbero avuto bisogno di un compagno veloce quanto Usain Bolt, e forse non sarebbe bastato. Ma non è questo il punto, ovviamente.

Il gesto - non parlo, ovviamente, di quello “tecnico” - di Pellé è piaciuto poco anche a chi, come il sottoscritto, si trova ad esprimere un pensiero sulla quantità (e qualità, finissima!) degli improperi rivolti all’attaccante del Southampton: è giusto, fra l’altro, contestualizzare l’episodio, evidenziando come Neur, in occasione di tutti i rigori calciati dagli azzurri, li abbia puntualmente sfidati, indicando ogni volta da quale parte si sarebbe tuffato.
Graziano Pellé è caduto nella provocazione, ha dato sfogo al calore del sangue latino che, come capita in questi casi, può giocare brutti scherzi. Fosse stato un algido islandese, giusto per rimanere in tema di nazionali-sorpresa di questi Europei, non avrebbe fatto nemmeno caso alla “sfida” lanciata dal portierone tedesco. Ma Pellé è italiano e s’è lasciato trasportare dalla reazione sanguigna, di pancia: ha avuto un momento di debolezza. Nulla vieta di pensare che poi quel maledetto rigore lo avrebbe potuto fallire anche un glaciale calciatore del Nord Europa, ma questo sembra essere un dettaglio nelle concitate analisi-social dei tanti italiani, molti dei quali, magari, sbroccano quando devono fare una “normalissima” fila alle poste, oppure sono costretti a procedere in macchina, a passo d’uomo, in centro città.

Il plotone d’esecuzione che s’è virtualmente venuto a formare contro Graziano Pellé stride perché si configura come l’esatta antitesi a quello che è l’insegnamento che questa Nazionale di Antonio Conte ha saputo dare: l’essere uniti, fare gruppo senza guardare la militanza in questo o quel club, la solidarietà sempre e comunque verso il compagno, soprattutto se è in difficoltà.

Se è vero, come è vero, che il gruppo assemblato da Conte per questi Europei non lascia alcuna eredità tecnica a chi verrà dopo, non ha avuto l’ambizione di innovare né da un punto di vista prettamente tattico e né, tantomeno, da quello del pensiero calcistico (leggi qui), è altrettanto indiscutibile che i ragazzi azzurri hanno dato a tutti una enorme lezione, non solo sportiva, ma anche sociale, volendo esasperare ed ingigantire il concetto. Nulla di più effimero: l’orgoglio per questa squadra – perché la squadra è tutta, anche Pellé ne fa parte – è durato lo spazio di 11 miserabili metri.

Fratelli d’Italia…finché dura!