Il Napoli rispetto alle prime quattro giornate della scorsa stagione ha quattro punti in meno. Il tutto è relativo interviene col senno di poi a scongiurare facili depressioni e ad allontanare certe illusioni. È ancora più facile parlare e giudicare dopo. Solo alcune domande, che in ordine sparso si posano sopra un volto che, per adesso, non pare così cambiato. Meno rughe, ma le stesse incertezze.

Col Lecce si è rivisto il Napoli "distante" dal Maradona. Nella scorsa stagione in casa è stato sciupato uno scudetto, coi punti volati via con squadre modeste. Tanti punti. Senza metterci le gare, sempre a Fuorigrotta, costruite male sin dal principio anche con avversari più impegnativi. Ma è un altro Napoli. Almeno, questo è l’alibi più logico che si possa tirare fuori.

Perché cambiare così tanto appena alla quarta di campionato a fine agosto? Perché il Napoli non potrebbe avere i suoi punti fermi come tutte le formazioni di rango europeo? Al momento, ed è un momento che dura da tempo, Lobotka non pare rinunciabile. Perché schierare calciatori non ancora in condizione ottimale e tutti, troppi, contemporaneamente? Olivera, Ndombele, per esempio, non hanno brillato per continuità e atletismo. E la loro precarietà ha inciso pure sul rendimento tecnico. E poi, coi cinque cambi il turnover può contare sulla possibilità di applicarlo in gara, con una gestione inziale più rassicurante anche per uomini più indispensabili. 

Perché Spalletti non si accorge che Osimhen, troppe volte a terra, troppe volte a cercare contatti, falli e rigori, troppe volte in fuorigioco, troppe volte a schizzare per il campo senza criterio, gioca per quasi tutta la gara ingabbiato dai marcatori e senza che questi raddoppi fruttino spazi e occasioni per gli altri compagni? Perché Di Lorenzo appare spesso più stanco e impreciso, e molto in affanno in marcatura? Perché Kvara, grandi doti ma troppa ostinatezza, dribbla in eccesso calamitando altrettanti raddoppi e avversari? Perché un ritrovato Zielinski non viene utilizzato con più continuità rispetto a quanto avvenisse lo scorso anno quando appariva in condizioni meno brillanti? Perché ci si è azzardati a dire di quest’organico come di qualcosa di completo quando Olivera, Ndombele, Demme, Simeone di fatto, per ragioni diverse, non possono essere considerati al pari degli altri? 

Perché Raspadori a Firenze da subentrante è sembrato lucido e intraprendente, invece col Lecce da titolare ha costretto l’allenatore al cambio già nell’intervallo? Perché diversi giocatori del Napoli, anche quelli più offensivi, calciano così debolmente per intere partite? 

Perché la Fiorentina prima e il Lecce poi in pochi giorni hanno dato l’impressione di aver trovato abbastanza facilmente i rimedi per arginare le fonti di gioco e di imprevedibilità del Napoli? Perché, ma questo è un interrogativo da sospendere vista la non condizione ottimale di Simeone, Spalletti non vuole ricorrere a soluzioni che prevedano una doppia punta? Con i dovuti cambi di modulo. Ammesso che questa parola, modulo, significhi davvero così tanto.

È vero che questa stagione sarà più anomala di tante altre, così come la classifica dice di un equilibrio generale in cui nessuno scappa (solo la Roma sembra più continua delle altre), ma è anche vero che certi segnali e certe abitudini restano tali in tutte le condizioni.