Nella Lazio degli ultimi anni, fra campioni in cerca di rivincita, vecchie glorie a fine carriera e fuoriclasse mai-veramente-compiuti, ha trovato spazio (prima poco, poi tanto) un ragazzino spagnolo, senegalese d'origine. Classe 1995, piedi buoni, tanta corsa, ma testa gloriosa. Perché è quella la croce e la delizia di molti campioni e aspiranti tali: la testa. E Diao Keita Baldé ce l'ha un po' matta, la testa.
Indiscutibilmente uno dei crac dello scorso campionato, Keita è un imprevedibile in tutti i sensi. Perché non sai se e come entrerà in campo, se avrà voglia, se sarà in vena di grandezze o se, al contrario, sbatterà i piedi a terra come un bambino viziato e si limiterà a passeggiare. A dir la verità quest'anno è capitato meno, rispetto alle scorse stagioni. Perché quest'anno Keita aveva l'evidente voglia di far vedere che sa essere un calciatore importante, uno di quelli che può fare la differenza. Un crac, appunto. I gol a fine campionato sono stati 16, uno in più dei 15 segnati nelle tre stagioni precedenti messe insieme. Tanti. Ma non ha mancato, il nostro, di ricordarci che è riuscito a farsi cacciare dal Barcellona e di avere un carattere talmente particolare da rinunciare a ritornarci.
A volte continua a ricordare quel ragazzino di quindici anni che, in tournée con la squadra giovanile dei blaugrana in Qatar, riempì di cubetti di ghiaccio il letto di un compagno. Una ragazzata, ma al Barcellona non si scherza e Keita finì per un anno in una squadra satellite: giocò e segnò tantissimo e alla fine si rifiutò (proprio così: rifiutò) di tornare al Barcellona per accasarsi, sedicenne, alla Lazio. Rottura insanabile o arroganza? Ai posteri l'ardua sentenza. Fatto sta che continua a farne, di ragazzate, anche se di anni ne ha 22. Come a fine campionato, quando la legittima ambizione diventava peccato di gola: all'ultima giornata strappò il pallone ad Immobile per sbagliare un rigore che nemmeno s'era procurato: il tutto sotto gli occhi di un Simone Inzaghi pronto a lasciar fare lasciar passare perché le ultime giornate di campionato sono un po' come gli ultimi giorni di scuola e semel in anno licet insanire - anche se il nostro se lo concede più di una volta all'anno. Simone Inzaghi che lo conosce da quando era in Primavera, che l'ha saputo gestire in campo ma che non è riuscito a convincerlo a firmare il rinnovo. E senza quella firma Keita va ceduto quest'anno per far cassa (e plusvalenza) o lasciato andare via l'anno prossimo a parametro zero.
Non è difficile trovare squadre che lo vogliono: ci pensa la Juventus, ci pensa l'Inter. E mentre le altre pensano il Napoli prova a giocare d'anticipo: De Laurentiis e Lotito avrebbero già raggiunto l'accordo e la trattativa sarebbe bloccata solo dal giocatore, che gradirebbe aspettare la decisione finale della Juventus. La squadra di Sarri cerca un profilo del genere, un'alternativa di lusso a Insigne e Callejon, un giocatore sicuramente più estroso di Ounas - diciamolo: un grande colpo. Ma Keita può essere considerato un grande colpo?
Sì e no. Intendiamoci: potenzialmente può essere il valore aggiunto di cui il Napoli ha bisogno, e il valore assoluto del calciatore non si può mettere in discussione: i numeri ci sono, la fisicità e l'età pure. Il problema sta in mezzo alle orecchie: è la testa di un ragazzo che non sembra ancora poter garantire la professionalità che a questi livelli è fondamentale. Certo, potrebbe riuscire a responsabilizzarsi proprio nel momento del contatto con una realtà come quella di Napoli, con un nucleo solido, uno spogliatoio unito nella voglia di lottare per lo scudetto e un allenatore che è un maestro e che dice le cose come stanno, sempre. Ma d'altro canto potrebbe anche storcere il naso al primo turnover, sentire una pressione forte ai primi errori, far volare una parola di troppo in maniera sbagliata. Le due fame di Keita - quella di ottimo calciatore e quella di ragazzo esuberante - lo precedono. E forse sarebbe meglio valutare la seconda almeno quanto la prima.