Ore 22,37 del 4 maggio 2023. 33 anni dopo, una squadra dell’Italia meridionale vince il campionato nazionale di Serie A. Un terzo di secolo a interrompere un dominio che ha avuto soltanto tre eccezioni. Una da Genova e due dalla capitale. Per il resto la solita, perpetua e imperturbabile alternanza di successi delle tre squadre che detengono ampia parte dell’albo d’oro della massima serie.

Negli anni in cui i club più potenti e le federazioni internazionali discutono e avviano i tentativi di istituire superleghe in cui codificare una volta per tutte l’intendimento aristocratico di un calcio che, nonostante la passione di quanti hanno sempre voluto farlo passare per romantico e, un tempo, lontano da interessi finanziari e giochi di potere. Un errore, perché il calcio è sempre stato strumento economico e di propaganda. Sin dalle sue origini.

Chi dalla storia non è stato iscritto a quell’aristocrazia, in Italia o all’estero, ha sempre e soltanto avuto il sogno di interromperne il dominio, in luogo di quel senso di rivalsa cresciuto dentro chi vorrebbe uno sport più equo e meno affidato al potere economico e politico. Anche perché, come presto si vedrà, per ottenere una superlega non è necessario fondarla, ma basta dirottare le competizioni internazionali verso formule elitarie e sempre più a “circuito chiuso”, in nome di quello share di massa dettato da ebbrezze effimere e artificiali. Servire al consumo un calcio sempre più iconograficamente vicino a quello dei videogame è la superlega più potente di tutte.

Il 2023 del Napoli è stato l’inconveniente felice di un processo che si è addirittura contestato e sanzionato, ma senza alcun ripristino, se non di quello che è sempre stato. Lo stesso De Laurentiis, probabilmente artefice involontario di un’impresa attesa e a tratti insperata, ha più volte manifestato il desiderio di una riserva lussuosa del pallone, con tornei riservati alle grandi città europee e altri abbattimenti di ogni valore sportivo. Con l’unica differenza che il suo desiderio ha in sé la formalizzazione di qualcosa che di fatto esiste da sempre.  

E il suo errore più grande è stato quello di perdersi dietro certi proclami, certe chiacchiere inutili e fini a se stesse, invece che di difendere e coltivare la creatura meravigliosa che il 2023 gli aveva lanciato tra le braccia. La grande sfida, la grande impresa, l’unico momento realmente superiore sarebbero stati quello di fare di tutto per proteggerla dalla decomposizione che dall’interno ha avuto il sapore di promozione per Spalletti in nazionale e di disfacimento da quell’esterno popolato dall’incredulità dei suoi stessi tifosi. Invece tutto si è svolto secondo il protocollo di una cosa durata una volta sola. Unica e irripetibile nel suo genere. Dentro la noia mortale di un pallone che si ostenta spettacolare, ma che di spettacolare ha soltanto la sua parte costantemente in vendita. Sotto tutti i punti di vista.

Per il Napoli il 2023 ha scandito i suoi ultimi giorni in quella notte di maggio che è la separazione tra il possibile e il ritorno all’impossibile. C’è solo da scegliere a quale parte aderire. Al Napoli di Di Lorenzo, Kvara e Spalletti oppure al dopo che non ha alcuna importanza. È già accaduto e chissà se accadrà di nuovo. Tutto sta a comprendere il valore delle rarità. A volte è il tempo a istruire questa forma di maturità. In fondo a quel tempo ci sarà sempre il Napoli campione d’Italia dell’anno 2023.