Due libri, la voglia di raccontare uno sport che non è soltanto uno sport e una chiacchierata. Campioni per sempre - Storie e miti di eroi immortali del calcio, edito da Ultra Sport e pubblicato nell’ottobre 2016 con una prefazione di Roberto Beccantini, è l’ultimo libro di Fabrizio Prisco, giornalista, scrittore e insegnante che da alcuni anni vive e lavora in Liguria. La sua opera narrativa è un’antologia in omaggio ad alcuni personaggi che hanno reso il calcio un luogo su cui il grande osservatorio umano, da tutto il mondo, ha spalancato i suoi occhi per ammirarne tanto i prodigi, quanto per sorprendersi e inquietarsi davanti alle sue miserie.
Matthias Sindelar, Arpad Weisz, Luigi Meroni, Agostino Di Bartolomei, per citarne alcuni, compongono la kermesse in requiem di un secolo di calcio, passando per le vicende dolorose che hanno colpito questi personaggi, fino all’attribuzione del mito che li ha consacrati, chi poco a poco, chi improvvisamente, chi in vita, chi dopo la morte, a icone di uno tra i fenomeni più affrontati dalla letteratura, dal giornalismo, dalla politica, dall’uomo, durante il Novecento.
Fabrizio Prisco, autore già nel 2014 di Sogno mundial, edito da Area blu, li riporta in vita, attraverso le incursioni discrete del suo immaginario personale. La poesia del calcio, per l’autore di un libro che, in fondo, è un omaggio alla leggenda del pallone, fa irruzione nella sua riserva bambina per consolarne quella adulta. Insieme, come avviene per chi vuole stringersi al meglio che si porta dentro, se ne vanno per mano.
Mettendo da parte le convenzioni giornalistiche, attraverso toni più confidenziali, sono qui riportate le fasi salienti una chiacchierata con l’autore sul suo libro, sul calcio secondo lui e su quello che per lui significa ogni giorno. Giorni lontani e giorni più vicini.
Il calcio per te sembra avere la forma di un grande innamoramento. Cosa ti ha fatto innamorare del calcio?
La mia famiglia non è mai stata appassionata di calcio. Eppure, in qualche modo, è come se ci fossi nato. È stato determinante nascere nel 1978, in tempo per godere delle prodezze di Maradona, del suo mondiale messicano e del primo scudetto napoletano. L’anno 1986 è quello che mi ha consentito di affezionarmi a questo calciatore inimitabile. È stata importante anche un’altra ragione. Uno dei miei migliori amici è il figlio di Eugenio Violante, storico dirigente della Cavese degli anni d’oro. La Cavese è la squadra della mia città. Frequentare, guardare, vivere il calcio così da vicino, sin da bambino, mi ha consegnato alla passione per questo sport.
Uno dei tuoi libri è una sorta di breviario della storia dei mondiali di calcio. Secondo quanto annunciato, o almeno a quanto alluso, da Infantino, presidente Fifa, i prossimi campionati del mondo potrebbero andare incontro a modifiche regolamentari e all’utilizzo della tecnologia attraverso l’uso di nuovi strumenti. Cosa c’è da aspettarsi?
Sarei favorevole a un utilizzo ulteriore della tecnologia e della moviola in campo, ma, in tutta franchezza, non mi aspetto chissà quali interventi. Ormai mi sento disincantato. La Fifa va verso una direzione definitiva, per cui il calcio è esclusivamente una ragione di business. Il mio prossimo libro parlerà anche di questo.
I tuoi lavori seguono un percorso preciso?
Sono partito dalla storia dei mondiali, passando per i miti del calcio, per poi giungere, prossimamente, alle origini della mia passione, con un libro dedicato a Catello Mari, il giovane calciatore della Cavese scomparso pochi anni fa in tragiche circostanze. Ho compiuto un percorso inverso, iniziando da una panoramica globale, ad alta quota, per poi stringere sui dettagli e gli aneddoti che mi riguardano più da vicino. Una discesa dal generale al particolare, quasi un processo inverso di formazione.
Non del tutto “adeguato” a quello che è diventato il calcio?
Il Corriere dello Sport in un articolo mi ha definito “Malinconico e poetico”. Credo che renda bene il mio rapporto con la storia del calcio e col calcio di oggi. In “Campioni per sempre” racconto di Agostino Di Bartolomei attraverso il gioco del Subbuteo, che sin da ragazzo consideravo il simbolo della poesia del pallone. Sono sempre stato attratto dalle grandi manifestazioni di sensibilità di questo mondo. Personaggi come Gaetano Scirea, amato e rispettato da tutti i tifosi, le storie dei calciatori ai quali il destino ha riservato epiloghi amari, come Meroni, e come tanti altri, rappresentano la mia riserva emotiva.
Anche nel tuo ultimo libro ogni racconto conserva una dose di dannazione. La maledizione è una componente onnipresente nella storia di questa disciplina.
Sto scrivendo un libro che sarà dedicato a Catello Mari, e, ovviamente, nella storia di questo ragazzo la maledizione domina il suo destino. Nulla è più maledetto che passare velocemente dalla gioia alla morte. E quante altre storie, nel calcio, ci hanno mostrato questo transito spietato.
A volte si usa l’espressione “il calcio di una volta”. Cosa ti manca di quel calcio?
Potrà sembrare un dettaglio futile, in mezzo a tante altre cose che potrebbero essere più importanti, ma a me manca tanto il calcio pomeridiano, quello di tutte le partite alle tre del pomeriggio. Mi manca l’attesa, il senso dell’attesa. Allora si provava l’emozione di aspettare pure quello che veniva mandato in differita. Non mi piace il “calcio spezzatino”. Oltre che essere un giogo mediatico, alimenta le scommesse, che adesso sono state legalizzate, istituzionalizzando un vizio che comporta una lunga serie di rischi e di problematiche che tutti noi conosciamo. Senza retorica, mi piacerebbe che i ragazzini di oggi riuscissero a rincorrere attese che non siano soltanto i bonus di una scommessa. Nonostante tutto, però, non credo sia giusto lasciare che tutto scorra com’è, indisturbato. Chi interpreta la passione per il calcio come qualcosa per cui valga la pena di raccontare anche quello che non sembra essere calcio, in qualche maniera, fa vivere pure il calcio che non è più.
Quasi sempre dal calcio ci si aspetta che i suoi risultati soddisfino le nostre attese per surrogare le delusioni rimediate altrove. Ma quanti riescono in questa impresa? Il più bravo, forse, ha capito che le misure più nitide sono le proprie. Così, adottandole, di certo, ognuno fa durare per sempre il proprio calcio.