Dov’è finito quel pallone che Maradona calciò con tanta semplicità durante il brevissimo palleggio nel cerchio di centrocampo di quel San Paolo gremito in cui i tifosi del Napoli gli diedero il benvenuto? Solo un breve istante da un’inquadratura dal basso lascia intendere che alcuni raccattapalle andarono a inseguirlo. Gli corsero dietro nessuno sa per quale ragione. Se per impadronirsene, se per accontentarsi di toccarlo soltanto o se per continuare a calciarlo. Non visti, lontani dai riflettori, perché tanto gli occhi di tutta Napoli quel giorno e per il futuro sarebbero stati tutti per lui, per Diego Armando Maradona. L’uomo venuto da lontano per fare felici tante persone. Perché, in fondo, se dovessi dire perché ho amato tanto questo calciatore, lo direi con queste parole. Ha fatto felici tante persone. Ha fatto felici persone che conosco e che conoscevo.
Quando la felicità la vedi addosso a chi conosci, a chi vuoi bene, allora è un’altra cosa. Fa piacere leggerla negli occhi di chi la racconta e la ricorda, sempre, ma non è la stessa cosa di quando te la vedi intorno vissuta e condivisa da chi ne scorgi le vicissitudini, i drammi, i desideri, le faccende private e le sofferenze. In quel caso la felicità assume un’altra dimensione. Ha il compito di durare di più. Se ne sta quieta e silenziosa in disparte pure quando Maradona è momentaneamente assente, pure quando le ragioni di quella condizione scompaiono per un po’, destinate a ritornare quando qualcosa le rievoca e le manda a chiamare. E allora quella felicità torna a farsi viva senza che niente che le sia appartenuta sia stato perduto. Nomini la sua causa e tutti i ricordi, tutti i disegni del passato, tutto l’affresco di una vita ricompare gioioso e malinconico, con quella potenza dell’esistito in cui trovano spazio uomini e cose, in un panorama umano che inizia e finisce con l'ovunque siamo stati.
Ho avuto l’immenso privilegio di vedere giocare Maradona dal vivo. E non una volta sola. L’ho avuto in un’età liquida e velocissima, quella dell’intermezzo tra l’infanzia e la primissima adolescenza, di quando stai per lasciare il mondo bambino e inizi ad affacciarti con timore su quella giovinezza che, se la vita ti sorriderà, è destinata a durare a lungo, senza sapere quando e come avrà fine. E aver avuto Maradona tra i segni di quel frangente tenero e violentissimo della formazione è stato qualcosa che inevitabilmente avrebbe lasciato il segno. Viverla da quegli occhi quell’epoca ha avuto un sapore che non si può dimenticare.
Chissà, forse se fosse avvenuto in un altro periodo, oggi non conserverebbe quella dirompenza mista a un’infinita tenerezza. Un momento della vita in cui i padri conducono i figli da altri padri, in cui i più fortunati godono delle tensioni alimentate dai genitori, dagli affetti inestimabili. Famiglia e amicizia si legano a quelle immagini che ti porti dietro più importanti di tutto, perché ti servono a sopravvivere alle delusioni dei tempi che verranno e alle amarezze delle più desolanti disillusioni. Quando ne hai bisogno, ti volti e guardi quello che ti ha reso felice. Anzi, quello che ha reso felice chi hai voluto bene. Tutto intorno è stato felice pure quando non avrebbe potuto permetterselo. E questo è stato il merito più grande di Maradona. Per me, e forse non solo per me, Maradona è stato questo.
Saltino sulle pagine dei libri e nei video di repertorio le sue prodezze e le sue contestazioni al potere, ma non sapranno mai della stessa grazia della cosa più bella che un uomo possa regalare ad altri uomini: la felicità.
Maradona come idolo? Non so. Chi lo pensa come un dio, invece, sia pur con grande devozione, si sbaglia. Maradona è stato ed è il più uomo di tutti. Il più mortale e umano di tutti. Dio non lo puoi vedere, non lo puoi toccare. Tutte le sue grandezze gli sono attribuite da una speranza, da una fede per la quale si crede secondo un dogma che nessuno sa se sia un inganno, un’invenzione o altro che non possiamo capire.
Maradona no, Maradona si capisce, si vede. E tutta quella felicità è legata a lui con la certezza che a lui si deve l’emozione di averla condivisa. L’uomo che ha regalato qualcosa ad altri uomini. Forse, il luogo sinistro di Dio, il dono mancino della sua parte recondita e profana, ribelle a se stesso e al suo incomprensibile rigore. A questo ci si dovrebbe fermare. Nulla più. Quel pallone calciato dopo pochi palleggi non è ancora disceso. E resta la sua giocata più bella.
Se mi chiedessero perché vuoi bene a Maradona, non esiterei a rispondere. Perché ha reso felici le persone alle quali ho voluto bene, perché ha reso felice una parte di noi come nemmeno noi stessi avremmo saputo fare. E questo, per me, è Maradona.