La Ferrari ha smarrito il mito. E la faccenda si fa preoccupante non perché i risultati tardano ad arrivare, e nemmeno perché la macchina perde secondi gara dopo gara, a dispetto di quel work in progress promesso a inizio stagione, ma disatteso, almeno fino a questo momento. È la squadra, è la dirigenza, sono i piloti, d’accordo.

 

Ma più di tutto è l’aria di rassegnazione che si respira intorno alla scuderia. Quando Michael Schumacher arrivò in Ferrari, il team di Maranello veniva da una lunga stagione di delusioni e il gap con le squadre di testa sembrava incolmabile.

Ma mai, in nessun momento, la forza carismatica di Schumacher, la gestione intorno alle qualità di collaudatore del tedesco, fornirono all’esterno momenti di isterismi e di debolezza.

 

Per i primi anni, per diverse ragioni, la Ferrari fu comunque costretta ad assistere ai successi degli avversari, prima di istaurare la dittatura di Kaiser Michael e dei suoi record in vettura rossa.

 

Fernando Alonso, nonostante il suo talento, nonostante anche le sue parziali ragioni sull’incapacità da parte della squadra di fornire alla macchina le migliorie per renderla competitiva con la Red Bull, non è capace di reggere la tensione nervosa dell’inseguitore. Il pilota spagnolo ha classe da vendere e grande esperienza, ma, forse è questo che lo distingue da Schumacher, non ha nel sangue la gestione nervosa, l’arte diplomatica tra la sua personalità e la tuta che indossa.

 

Schumacher, così come Prost, Lauda e tutti gli altri grandi piloti passati per Maranello, sapeva come imporre tanto il suo carisma, i suoi capricci, i suoi vizi, anche i suoi malumori, quanto il riguardo e la capacità di attesa in una scuderia che non è come tutte le altre.

 

La Ferrari non è un team che segna una storia recente, provvisoria, del momento, ma affonda le sue radici nelle origini della Formula Uno, gareggiando sempre da protagonista, anche nello stesso mercato automobilistico - inutile ricordare quanto il mercato risenta dei risultati delle corse - costantemente ancorata alla scuola prima di tutto umana del “Drake” Enzo Ferrari, fautore del lavoro e del sacrificio, dello studio e dell’abnegazione, qualità e virtù per forza legate all’attesa e alla pazienza, al controllo e alla capacità di reggere le tensioni.

 

Sia la dirigenza che i piloti, i tecnici e la scuderia, fanno i conti con un fallimento stagionale quasi annunciato dagli ultimi risultati piuttosto deludenti. La Ferrari sta rischiando di essere seminata pure dalla Mercedes e dalla Lotus, senza badare all’incubo qualifiche, momento del fine settimana in cui la “rossa” non riesce a trovare le giuste prestazioni, quasi abituandosi, ormai, a partire dalle retrovie della griglia di partenza.

 

A prescindere dalle difficoltà tecniche, che nelle corse sono dietro l’angolo, la Ferrari è in crisi d’identità, forse la peggiore della sua storia recente. L’esempio? Senza retorica, basta ricordare che Enzo Ferrari, dopo la prima guerra mondiale, cercò impiego in FIAT. Fu rifiutato. Orfano di padre, giovanissimo e smarrito, fece del suo sconforto la bandiera della sua impresa.

Ferrari era uno che non trascurava il trasporto emotivo. Sapeva bene quanto fosse importante per far correre quello della ragione.

 

 

Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka