Se il calcio ha il dovere di diventare meno fine a se stesso, al tempo stesso, non si può considerarlo soltanto guardando ai suoi protagonisti. L’ammiraglio può pure restarsene ad aspettare che si calmino le acque. Il porto non gli duole. Il problema è della ciurma. Per quella, se non prende il mare, l’attesa potrebbe costare troppo.

Il ministro Spadafora ha lasciato chiaramente intendere che la ripresa dei campionati di calcio, al momento, sarebbe molto difficile. Una dichiarazione immediatamente successiva, tuttavia, lascia uno spiraglio di possibilità per la riapertura condizionata, sempre secondo il ministro, all’intesa su un protocollo condiviso da ogni parte. Diversamente, il Governo si assumerebbe la responsabilità di chiudere definitivamente le competizioni della stagione 2019\2020.

Mentre alcuni calciatori risultano ancora positivi e altri, in particolare si registrano alcuni casi molto difficili all’estero, combattono battaglie più dure per allontanare il virus, c’è chi reclama date e programmazioni, formule e soluzioni per assegnare titoli e chiuderla a tutti i costi con dei vincitori. Il problema, ovviamente, non riguarda soltanto contrattualizzazioni milionarie e gestioni di diritti e introiti che assicurano grandi entrate a calciatori, procuratori e società. 

La faccenda andrebbe posta rispetto alle necessità di tutte quelle persone che lavorano nel calcio e che, per ragioni diverse, subiranno un danno economico rilevante, soprattutto se rapportato a guadagni molto più contenuti. Chi penserà all’indotto? Il nuovo disegno può compiere i suoi sforzi soltanto sul fronte estetico della faccenda? Del resto, la parte marginale si arrangerà, come da “protocollo” per tutto quello che durante il peggio è costretto a rendersi conto di trovarsi ai margini.

Il chiudete tutto e rimandatelo all’anno prossimo non vale più di quello che perderebbe e che, forse, ha già perso a prescindere. Non può e non deve valere di più. Così come una richiesta pretestuosa di ripresa non può sopravanzare il dovere della salvaguardia della salute e della sicurezza. Sono in conflitto i diritti e i doveri ed è molto difficile stabilire quali siano prevalenti su altri. 

Bisognerebbe partire dall’analisi della necessità della ripresa. In cuor di chi la sta chiedendo perché è così importante? Lo è per un sistema che, al di là di soddisfazioni che riguardano le figure più ricche e privilegiate, deve anche salvaguardare tutte quelle che ne traggono un beneficio più precario. Il calcio, probabilmente, farebbe bene a muoversi in questa direzione. A concretizzare una ripresa che non sia esclusivamente legata al terreno di gioco, ma, prima di tutto, a compensare le perdite per chi in questi mesi non ha lavorato e rischia di non poterlo fare ancora a lungo. Per una volta, far sì che il pallone non competa con se stesso, ma con uno stato di necessità che, paradossalmente, sta mettendo in competizione, spesso in maniera troppo conflittuale e confusionaria, diritti contro diritti, doveri contro altri doveri. 

Guardare realmente alla necessità. Magari, l’occasione per spostare altrove l’effetto di un fenomeno che metta da parte un genere di competizione che adesso, con gli stadi vuoti e molte preoccupazioni, non avrebbe molto senso. Una polarità più sensibile, che si renda conto delle sue parti più deboli. Come? I protocolli e le intese andrebbero orientati proprio a questo.