In un’intervista l’aveva paragonata a una partita col Barcellona, quella lotta alla malattia che lo ha perseguitato per anni. “Puoi vincere col Barcellona una volta, ma poi nella seconda rischi veramente di perdere”. Quattro interventi chirurgici e qualche chilo in meno. Gli ultimi anni di Emiliano Mondonico, uno tra gli ultimi allenatori della storia del calcio italiano a condurre fino ai limiti della gloria squadre partite senza i favori del pronostico. Senza troppe raffinatezze, senza giri di parole, senza fronzoli. Di rimessa, un po’ come la vita.

La sua traduzione in linguaggio sobrio e diretto, la sua diplomazia schietta e paradossale, per un mondo che in fondo non apprezza la sincerità, non può farlo per sua stessa definizione, hanno accompagnato la sua figura fino alle ultime decisioni. Una minuta altrettanto netta e coraggiosa, timida e introversa, eppur precisa, fino alla decisione di raccontare agli altri la sua esperienza personale più significativa. Un’uscita di sicurezza da uno star system al quale, forse, non aveva mai preso parte.

Non sono state poche le cose conservate dalla sua memoria messa a disposizione di tutti. Strano, che una personalità così discreta non si sia mai risparmiata nel raccontarsi, sia pur dentro le sue stesse contraddizioni. E Mondonico non ne aveva poche. Anche quando parlava, anche quando giocava, anche quando allenava. Non sempre “lucido”, almeno come protocollo vorrebbe. A volte in imbarazzo per non aver potuto ovviare a una sconfitta o a un insuccesso. Eppure, a volerlo definire in qualche modo, verrebbe spontaneo guardarlo così, come un personaggio di successo senza grandi trionfi. Vittorioso senza la sconfitta altrui. Quasi come se la sua carriera non ne avesse avuto la necessità, quasi come se tutto il suo percorso professionale fosse stato affiancato a quello umano. Prevalente per la sua personalità. Un ingombro che del gioco e dei titoli può anche fare a meno. Una consistenza percepita dall’esterno di chi non lo ha mai conosciuto di persona. E quindi una vitalità autentica. E mai forma di autenticazione vale di più in un ambiente che troppo spesso rifiuta di farsi conoscere e riconoscere.

Uno tra i suoi racconti più emblematici resta quello della partita di Coppa Italia col Milan, quando a Bergamo, rifiutandosi di restituire palla agli avversari, i rossoneri avevano ripreso il gioco nell’incredulità degli atalantini, allora allenati da Mondonico, costretti a fermare Borgonovo con un fallo in area di rigore. Quando il successivo penalty non fu calciato fuori da Baresi, ma in rete, l’ira dei nerazzurri e la delusione rabbiosa di Mondonico, a detta dello stesso mister di Rivolta d’Adda, non perse occasione a manifestarsi anche negli spogliatoi, dopo la partita. “Dopo negli spogliatoi ne sono successe di belle. Questi i calci nel sedere li ha presi e non hanno detto niente”

Ma, forse, il racconto più bello tra gli aneddoti della sua carriera di allenatore resta quello più celebre. La famosa sedia alzata durante la finale di ritorno di Coppa Uefa, ad Amsterdam, con l’Ajax, quando Mondonico era alla guida del Torino. Dopo pochi minuti l’arbitro non assegna un rigore ai granata, che hanno bisogno di vincere per portare a casa il trofeo. Sarà una partita stregata, sfortunata. E quel dubbio episodio arbitrale peserà. Allora, Mondonico prende la sedia dove era seduto ai bordi del campo e la alza in segno di protesta e di minaccia. Una scena grottesca, comica, e che lo stesso mister racconterà con grande intelligenza molti anni dopo. Uno che una volta ha detto: “Adesso voglio starmene nei luoghi che conosco, tra gli odori e i colori che mi sono familiari. Quando conosci bene il luogo in cui ti trovi, puoi prendere le decisioni migliori. Diversamente, c’è sempre qualcuno che le prende per te”.

“Quando ad Amsterdam alzai la sedia, mi accorsi che dietro di me, a cinque metri, c’erano dei ragazzi disabili seduti sulle loro carrozzine. Io avevo la sedia in mano e loro mi guardavano come a dirmi ‘ma cosa stai facendo?’. Allora questa sedia piano piano è caduta per terra. L’ho messa giù e ho chiesto scusa. In questi momenti ti rendi conto che certe cose sono delle cavolate. E menomale che allora ho guardato negli occhi questi ragazzi e ho capito che la vita è fatta di ben altre cose, dove la sedia sicuramente non c’entra niente.” Emiliano Mondonico sulla partita più importante della sua carriera. Non vinta.