Un immenso grazie per tutto quello che ci ha dato, niente da dire, ma la verità è che non sono tottista, io sono romanista.
Non gli credi.
Per un laziale, ma anche per qualunque altro tifoso, non sono parole credibili. Rappresentano semmai esercizi di resistenza all'idolatria, all'amore sordomuto. Cieco no, perchè il termometro della visibilità di Francesco Totti brucia talmente tanto che è impossibile ignorare la lente di ingrandimento sulla persona, sugli sbagli dell'uomo e del professionista.

Ciò che da laziale provi per il capitano della Roma non è un odio di rivalità, non è nemmeno corretto dire che lo snobbi sempre, anche se succede e forse, qui, saranno i romanisti a non credere ai biancocelesti. Eppure l'odio per Totti è dovuto a quello che tu laziale, non vorresti mai essere. Premesso questo: come si può odiare in maniera passionale ciò che non incarneresti mai?

Il nemico è ben visibile a livello mediatico, ma invisibile sul piano emotivo. Totti è la Roma e dietro si porta tutto lo strascico che un laziale non comprende perchè estraneo, ne prende le distanze perchè inaccettabile. Oltre l'ammirazione di un gesto tecnico, il numero 10 si trascina, come epilogo, le fragilità perdonate, quella Roma che lo ha sempre allattato, cullato, protetto. Totti è per un laziale l'imperdonabile - semplicemente perchè se stesso - l'ingiustificabile nonchè l'inspiegabile.
Totti è un eterno dentro una città eterna che in molti vorrebbero ora corresse più veloce.
La società biancoceleste non ha mai avuto bandiere, santoni o totem, figuriamoci re. La tifoseria ha amato uomini che cadevano facile, che viaggiavano tra il compiuto e l'incompiuto come persone e come giocatori. Questo ha fatto sì che la fede fosse più complicata, che non ci fosse bisogno di monumenti ed eroi e che se nascevano avrebbero avuto gloria breve seppur intensa.
Totti è un compiuto invece, una persona che ha reso schiava la Roma ed è schiavo della Roma e di Roma. Che del molto che ha dato è dipendente, tanto da non voler mai abbandonare le vesti del personaggio: il supereroe ci tiene ancora ad entrare dentro una cabina telefonica, più facilmente una panchina dell'Olimpico, svestire i panni del non protagonista ed entrare in campo per farti capire che nemmeno stavolta è possibile fare a meno di lui, anche se fino ad un minuto prima chi lo ama lo ha pensato. Le bocche si spalanchino, i cellulari sparino i flash e filmino, che l'immortalità si scarichi a colpi di empatia, che uno stadio intero si senta Totti, si trovi rappresentato da Totti e da quel che ne consegue dietro, di cornice. Tanto che un selfie durante l'esultanza per un gol, con la Curva Sud alle spalle, ci può stare. Se poi è un derby, meglio ancora.
A proposito di derby, quello di Coppa Italia di tre anni fa, ha definitivamente distrutto ogni desiderio inconscio oppure sentito e non palesato di un Totti o di un giocatore come Totti nella storia della Lazio. Una finale brutta e asciutta di spettacolo, dove l'attaccante non ha saputo trascinare una Roma alla deriva, che aveva gonfiato il petto in anticipo, convinta di aver già vinto perchè la Lazio è la Lazio e quindi in un derby non ti può fregare.

Lì l'odio è diventato ancora più freddo perchè le distanze della voglia di non essere si sono allungate. Altri sono i giocatori più o meno recenti ad aver acceso un sentimento negativo più passionale. Totti non è Ranieri che ha sbeffeggiato più volte la Lazio, non è Del Vecchio che nove reti ai biancocelesti le ha segnate in cinque anni; non è un De Rossi che in campo ha provocato spesso e volentieri. Soprattutto, non è stato Totti a far piangere Nesta e costringerlo alla resa. Totti sotto la Curva Nord non è mai andato, non ha mai tirato direttamente frecciate alla Lazio se non a mezza bocca.
Totti alzi la testa e lo guardi vivere segregato in un palazzo tutto suo e allora la vita si fa difficile anche per lui, al quale non è mai stato concesso di vivere un'esistenza normale. "Guarda che io da romano, lo capisco – disse una volta un amico – Per noi andare via da Roma è difficile, per quanto uno possa disprezzare questa città".
Totti schiavizza e Totti è schiavo di una Capitale che lo soffoca dentro un appartamento di lusso. Ha costruito un abbraccio popolare attorno a sè più grande e potente delle colonne del Bernini che cingono Piazza San Pietro. A Totti si rivolgono preghiere sull'altarino di una fede che i tifosi sanno già che avrà un termine, anche se non è la data della fine del mondo, semmai della Provvidenza tottiana.
Ecco perchè hanno senso gli esercizi di distacco dal credo, del non voler più affidarsi a lui perchè rappresentazione e simbolo definito, dei vorrei diventare iconoclasta ma ancora non posso. E allora parte già il pensiero al dopo senza Totti, anche se il giocatore ogni volta conferma che di lui non se ne può fare a meno.
"Fa che finisca presto – scrive Andrè Agassi in "Open" - non sono pronto a smettere, non voglio che finisca, mi metto a piangere".
