Tutto è cambiato, eppure niente è cambiato. A oltre un anno di distanza da quando Walter Mazzarri si è seduto sulla panchina dell'Inter, i nerazzurri sono alle prese con gli stessi cronici problemi che li hanno afflitti negli ultimi 4 anni. Si pensava che in questa stagione la musica sarebbe cambiata, che dopo un'estate all'insegna degli addii ai senatori e con l'arrivo di giocatori funzionali ed espressamente richiesti dall'allenatore l'Inter avrebbe avuto, finalmente, continuità di risultati; invece a distanza di un anno le considerazioni sono sempre le stesse. Soltanto che, adesso, a fine settembre 2014, le scuse (ab)usate da Mazzarri cominciano a non essere più praticabili.

 

E' venuto meno infatti il confronto con l'anno precedente, la presa in giro bonaria - mica tanto... - del predecessore Stramaccioni. I retaggi del passato, espressione ripetuta ossessivamente dal tecnico, non fanno più testo, a meno che non si voglia dire che l'attuale allenatore dell'Udinese è riuscito nell'impresa di distruggere psicologicamente anche chi al tempo non faceva parte della sua squadra. Non esiste più neppure la questione del cambio di proprietà, visto che Thohir ha preso in mano stabilmente la società e ha portato progetti, idee, stabilità e nuove prospettive per il futuro. Scomparso anche il (falso) problema dei giocatori in scadenza: la situazione contrattuale dei calciatori nerazzurri attualmente è ideale per lavorare con serenità.

 

La rosa, si dice, è incompleta; mancano almeno un difensore e un attaccante di scorta. Al di là dei tanti pareri che si potrebbero dare al riguardo, è importante sottolineare due aspetti: in primo luogo, il mercato è stato affrontato in totale adesione con le richieste del tecnico; secondo, le eventuali carenze non giustificano prestazioni insufficienti contro squadre molto meno attrezzate dell'Inter, quali Palermo o Cagliari. Non può e non deve reggere nemmeno la scusa delle troppe partite in pochi giorni: il turno infrasettimanale c'è stato per tutti e in Europa League l'Inter è capitata in un girone più che abbordabile, che permette una rotazione - guai a pronunciare turnover con Mazzarri! - abbastanza ampia.

 

L'allenatore toscano inoltre sembra sempre più in confusione sulle mosse da adottare a partita in corso. Si lascia attrarre dall'idea della difesa a 4, senza saperla realmente insegnare, con risultati catastrofici; quasi che volesse dimostrare che le accuse sul suo essere - tatticamente parlando - monotematico sono infondate. Spesso è tentato anche da cambi che sbilanciano la squadra, anche in questo caso volti a stornare la nomea di difensivista. Tentativi che non portano alcun beneficio e che non possono certamente essere condizionati da un'eventuale ostilità dell'ambiente nerazzurro. Anche perché la società ha più volte confermato la sua fiducia a Mazzarri, spesso pubblicamente, perciò non si intende di cosa debba aver paura l'allenatore. Perché di paura si tratta, paura di sbagliare, che costantemente trasmette ai suoi giocatori.

 

Ma soprattutto - ed è ciò che è più grave - Mazzarri nei momenti di difficoltà è in grado di lasciar trasparire un unico sentimento: rassegnazione. Non è un caso che l'Inter in questo ultimo anno abbondante abbia subìto più rimonte di quante ne abbia portate a compimento: è un problema caratteriale che non può dipendere tanto dai giocatori, quanto da ciò che riesce a trasmettere il tecnico. E in questo sono rimaste ben poche scuse da accampare, anzi, potremmo ben dire che ormai sono finite.

 

Cesare Bogazzi