Questa è la storia della Sampdoria, della Sampdoria che era e della Sampdoria che è, e come tutte le storie deve iniziare con un “C’era una volta”. Ebbene sì: c’era una volta la Sampdoria.

La Sampdoria che era orgoglio di Genova e perla d’Europa. Gloria di tutti i tifosi, genovesi e foresti, un bello spettacolo che andava in scena sui più grandi campi di tutta Europa. Era la SampD’Oro, la bimba del grande Paolo, faceva divertire e faceva innamorare. Come nella più bella sceneggiatura di Stanley Kubrick, c’erano anche i difetti, quelli andavano in secondo piano. Era un film con gli attori migliori del tappeto rosso, da Mancini a Vialli, da Brady a Souness, da Platt a Gullit, passando per Pagliuca, Vierchowod e Francis. Vincitrice di numerosi premi oscar negli anni, era la donna che tutti sognavano, la squadra che tutti amavano. Un giocattolo perfetto, difetti impercettibili, faceva divertire milioni di bambini. Una storia quasi perfetta direte voi, forse, ma se non ci fosse il lato negativo non sarebbe una storia da “C’era una volta”.

Passano gli anni ed eventi funesti iniziano a distruggere il film blucerchiato. Paolo venne a mancare, arriva Enrico, continua il progetto vincente. Gli schizzi della grande opera furono tramandati di generazione in generazione. Qualche anno a grandi livelli e poi il baratro. Come gli elfi tolkeniani che abbandonarono la Terra di Mezzo anche la famiglia Mantovani decise di lasciare la Sampdoria.

Arrivò Riccardo, grande imprenditore, uomo facoltoso che non sapendo di calcio si affiancò a grandi persone, fu l’era Garrone-Marotta, la salvezza dal baratro, la successiva rinascita. La ballerina, come piaceva chiamarla a lui, stava tornando a danzare sui grandi palcoscenici d’Europa. Cambiarono gli interpreti, da Vialli e Mancini si passò a Cassano e Pazzini, il risultato era uguale, forse meno efficace, ma le soddisfazioni continuarono ad arrivare. La Sampdoria toccava nuove vette e quando arrivi a certe altezze se cadi ti fai ancora più male. Il baratro la accolse di nuovo: era la Serie B.

Da lì la Sampdoria seppe rialzarsi ancora una volta. Guidata da un valoroso condottiero, degno del migliore Spartacus, la Sampdoria tornò a danzare per palcoscenici importanti. Il giocattolo che una volta era rotto tornava di nuovo in funzione. Anche Riccardo venne a mancare, la squadra passò nelle mani del figlio Edoardo, abile favellatore il cui bene della Sampdoria, a suo dire, era la cosa che gli importava. La ballerina continuava a danzare leggiadra, certo forse aveva diversi acciacchi, ma i suoi spettacoli sapevano accogliere ancora un discreto numero di spettatori paganti e contenti di vederla in azione.

Questa è la storia della Sampdoria che è: un film dal colore sbiadito, la cui trama è troppo brutta per essere raccontata, la carenza di attori protagonisti si inizia a sentire. Si decide di lasciare il tappeto rosso, l’era degli oscar e degli applausi resta un bel ricordo, bisogna cambiare e trovare una soluzione. Ancora una nuova rivoluzione: cambiano gli interpreti, si cerca di tornare ai vecchi fasti, si torna di nuovo in scena.

Si apre il sipario. La sceneggiatura e la regia sono quelle di sempre. Cambiano gli attori. E’ il solito fiasco. Si chiude il sipario. Fischi. Così non va.
 


Samuele Aiesi