Quando, nell'estate del 1989, il Genoa ingaggiò "quel trio”, i giornali non azzardarono neppure un minimo di convinzione parlando di rinascita e nuovo ciclo. Erano gli anni della risalita dalla Serie B, dopo un lustro di cadetteria coronato da un primo posto senza rivali. Erano gli anni del continuo ricambio in panchina che vide alternarsi senza un ordine comprensibile Perotti e Bagnoli, intervallati da quel Franco Scoglio che dopo l'apprendistato nella sua Sicilia, dopo le ottime stagioni con Acireale e Akragas e la promozione ottenuta con il Messina, decise di trasferirsi in una sorta di continuo deja-vu della sua ultima città.
Quel continuo miscuglio di colori, mari e monti che come "la porta della Sicilia" anche "la Superba" poteva offrirgli.
Il giorno che Genova vide per la prima volta "quel trio" dicevamo, il trio Josè Perdomo - Ruben Paz - Carlos Alberto Aguilera, il "piccolo Papero" uruguayano, di certo, non balzò in cima le attenzioni dei tifosi. Direttamente dal Penarol, centosessantadue cm di altezza per sessantuno kg di peso. La nuova era del calcio fisico italiano, che sembrava sempre meno abituarsi ai "prototipi" Zico e Maradona e sempre più allinearsi ai nuovi "giganti" olandesi e svedesi, non avrebbe lasciato un attimo di respiro a un attaccante con nessuna esperienza europea e una fisicità simile.
Genova si accorse di aver trovato il proprio talento in pochissimo tempo.
Eclissati dalla sua classe, i suoi due nuovi compagni scomparvero con la stessa velocità che aveva indotto Scoglio a rispondere al trio olandese con il suo personalissimo trio uruguayano. Lanciato da Bagnoli e affiancato dal "gemello" Skuhravý, Aguilera si presentò ai suoi nuovi tifosi con 3 stagioni da 31 presenze ciascuna e 33 reti realizzate. Reti, che al termine della terza stagione, furono il fulcro di un quarto posto da sogno. Quel sogno chiamato Uefa.
Otto gol in nove partite portarono il Genoa a una storica semifinale, intervallata da una prestazione che definire epica, all'Anfield, sarebbe eufemistico. Quella doppietta del Papero che decretò la prima sconfitta del Liverpool, tra le mura amiche, da parte di una squadra italiana.
La sua storia genoana si concluse al termine di quella storica annata. La storia che lo decretò quale miglior marcatore del Grifone dopo Tomáš Skuhravý, Diego Milito e Roberto Pruzzo. La stagione successiva fu ceduto al Torino, dove disputo la sua ultima stagione italiana per far ritorno in Uruguay, ancora al Penarol. Alle spalle tanta gloria ma l'impossibilità di far ritorno tra la gente che l’ha amato a causa di una duplice condanna a 2 anni e mezzo, inflittagli per spaccio di stupefacenti e sfruttamento della prostituzione.
Oggi, Aguilera, il primo vero Pato che l'Italia ha conosciuto, lotta tra la vita e la morte su un letto d'ospedale, colto da malore proprio mentre assisteva all'ennesimo match del suo Penarol. Uscito dalla terapia intensiva e passato alla media, le sue condizioni non destano particolare preoccupazioni, ma il suo "cuore ballerino" non lascia tranquilli, lui e i suoi tifosi.
Ed è da questi pochi righi che sentiamo l'esigenza di far un grande "in bocca al lupo al Papero", colui che scoperto da Scoglio e lanciato da Bagnoli, arrivò in sordina ma partì scalfendo il cuore dei tifosi. Per sempre.
Fabio Guzzo