Ci sono amori che non si dimenticano;

Ci sono addii che non sono mai tali;
Ci sono volte che il giusto, l’esatto, il sacrosanto, il lecito e possibile hanno un sapore amaro, un retrogusto velato di acidità, un incompreso -e incomprensibile- senso di disgusto, spesso -troppo spesso- tacciato dall’eccessiva vacuità.
 
 
Il rapporto tra Filippo Inzaghi e il Milan è ormai finito. Filippo, non Pippo, non Re, neppure Immortale o il Maestro di Coppe. Semplicemente Filippo, una freddura servita in tempo gelido, distratti dalle feste e dai festeggiamenti; per ciò che si è vinto e ciò che –come ci dicono- ci si accinge a vincere. Servita in tempo di “grassa”, servita per corroborare l’animo europeo con un Cabernet Bonera; fino a preferire addirittura la “Cassata egiziana”.
 
 
L’amore tra Filippo Inzaghi e il Milan non c’è più, manca l’appoggio del Presidente, manca la figura che s’immola per ricucire lo strappo, manca la pubblica dichiarazione d’intesa. Manca proprio il concetto, per certi versi banale di consonanza. Così, nello stesso intervallo che impiega Emanuelson a farsi fischiare dal pubblico, nello stesso intervallo che occorre a Taiwo per sbagliare l’ennesima disposizione, nella stessa frazione di tempo in cui Robinho manca l’ennesimo gol a porta sguarnita, Pippo lascia il Milan. Lo fa in silenzio, in punta di piedi, proprio come quando arrivò al Milan ma con netto differente calore mediatico a circondarlo. Lo fa con convinzione, la sua e quella di società e tifosi.
 
Del resto Inzaghi va per le trentanove primavere, Inzaghi il suo l’ha già dato: “Miglior realizzatore italiano in Champions League, unico marcatore della storia ad aver segnato in tutte le competizioni internazionali, Campione del Mondo, Capocannoniere della Serie A e della Champions, e ancora Miglior giocatore di una Finale Champions, Campione d’Italia, d’Europa e del Mondo a livello di Club. 
 
Inzaghi ha dato tutto al calcio e l’ha fatto a modo suo, infortunandosi, rialzandosi e partendo sempre dal punto d’inizio. Tutto, tanto, forse troppo ha ricevuto. Pippo è giusto che lasci il Milan, giusto che la smetta col calcio e lo faccia senza dissidi ma solo perché per tutti giunge il tempo di smetterla di urlare come un bimbo dopo un gol realizzato. Eppure qualcosa non torna, eppure il distacco non riesce a essere definitivo.
 
In realtà sappiamo tutti cosa accade: “E’ quel suo dannato modo di esultare”, quel prendersi beffa di tutto e tutti, gridare al cielo la propria rabbia, mista a felicità e contentezza per un gol che sia realizzato a Genova o al Benfica di Coluna, è quel sentirsi libero e sempre giovane, quel rispondere alle critiche a suon di gol, quel non dirsi giocatore di linea per poi segnare in netto fuorigioco, quel compito da cacciatore di beffe e sorrisi nel realizzare quel che solo un pazzo pensava fosse realizzabile e farlo lì, contro il Real Madrid, sempre o anche in fuorigioco (e oltre). Quell’esser cocciuto nel non servire Barone superando Cech, quell’esser certo di poter segnare con tutte le parti del corpo -tutte-, quel non far credere che chi sta incantando è chi ha “rotto” tutto (Piede, schiena, gambe, ernie).
Quel dire basta continuando a farlo, forte, sempre più risoluto. Oggi, però è tempo di smetterla. Per tutti giunge l’ora dei saluti e degli addii. Per tutti, forse, non per Lui.
 
 
Fabio Guzzo  

Ad Andrea