Aneta, dalla serie A polacca alla squadra di calcetto maschile a Milano: “I pregiudizi? Non mi toccano. Mihajlovic lo conosco, non è sessista”
In Italia da 13 anni per amore, la giocatrice aveva trovato subito squadra ma è stato impossibile coniugare lavoro, famiglia e pallone. L’incontro singolare col mister del Torino
giovedì, 27 ottobre - 09:45
Aneta Jurczenia col marito Gianluca
Fai vedere una volta che sei capace e poi non avrai più nessun problema. Parola di Aneta Jurczenia, polacca, calciatrice di alto livello mancata. Sì perché le premesse affinchè il calcio diventasse più di una passione non mancavano all’ex terzino del Warta Poznan, club femminile della città dov’è nata. Tuttavia Aneta non ha grossi rimpianti e il maschilismo e il sessismo su campi non hanno mai rappresentato per lei un problema, anzi: “All’inizio non godi di molta credibilità – racconta – Dicono che non ci metti la gamba, magari non sai come si marca… Poi ti vedono giocare, basta poco e gli esce un “Ah, però!”. Questa loro sorpresa alla fine mi piace, di me si fanno una buona impressione in breve tempo”. Non potrebbe essere diversamente e lo è anche oggi, parte integrante della squadra di calcetto amatoriale dove gioca anche il marito Gianluca. Nel corso degli anni però, qualche piccolo episodio spiacevole c’è stato: “Pochissimi – spiega Aneta – ma è capitato che qualcuno si rifiutasse di giocare contro di noi perché c’era una donna, cioè io, in squadra. Sinceramente il perché non me lo so spiegare: paura di fare una figuraccia, forse? Chissà. Resta il fatto che di solito riscuoto ammirazione e questo fa molto piacere”. Aneta vive a Como ed è in Italia da ormai tredici anni, per amore. La storia con Gianluca è nata in modo singolare e sul forum “Lazio Ultras”. Quando si è iscritta, Aneta giocava già a calcio ed era un’accanita tifosa. “Facevo il tifo per i biancocelesti perché ci giocava Mihajlovic”. Per il mister del Torino la ragazza prese una cotta via tv della quale si ricorda ancora i dettagli. Charleroi, Belgio, 13 giugno 2000. In campo la Jugoslavia e la Slovenia si giocano il match europeo del Gruppo C. “Ad un certo punto fu espulso Sinisa – racconta Aneta – Ricordo che lui si girò e sorrise ironico all’arbitro: per me fu un colpo di fulmine”.Nel frattempo la ragazza portava avanti i suoi studi e giocava nella neo squadra femminile di Poznan, appena nata, roba da non stare nella pelle, lei che del pallone si era innamorata da piccolissima: “Vedevo gli altri bambini che si divertivano così – spiega – Alla fine dissi: ok, mi butto anch’io”. L’attesa per entrare in una squadra è stata lunga: “Chiamai molti club perché volevo giocare – spiega Aneta – ma sono sempre stata respinta, finchè finalmente non nacque quello della mia città e lì sono entrata. Avevo sedici anni circa”. Tanti i ruoli ricoperti: un inizio da attaccante per poi realizzarsi in quello di terzino. Dopo due anni, il passaggio al Lubonski. Tutto molto preso seriamente perché si trattava di due compagini che militavano nei due massimi campionati polacchi: tre allenamenti a settimana e il weekend dedicato alla partita. Nessun compenso all’inizio, poi un piccolo rimborso spese. “Il fatto che avessimo poco pubblico e che qualcuno veniva forse solo per farsi due risate – racconta – non mi ha mai toccato più di tanto. Era peggio giocare in paesini sperduti, in campi improbabili e dove davvero non ci veniva a vedere nessuno”. Dopo qualche anno di amore a distanza, Aneta e Gianluca si sposano nel 2004. In Italia Aneta cerca e trova subito squadra: il Como 2000, ora in A, ma all’epoca in B. Quattro allenamenti a settimana, alle 20, più la partita. La giocatrice si trova bene ma alla lunga non è possibile coniugare la vita privata, la famiglia e il calcio. “L’orario degli allenamenti – spiega – con le sedute serali perché pomeridiane non erano possibili causa lavoro, non mi permetteva mai di vedere e stare con mio marito”. Ad un certo punto ha dovuto mollare e ormai sono dieci anni che gioca a calcetto nella squadra dov’è impegnato il marito.In Italia Aneta ha poi realizzato il sogno coltivato da ragazza di conoscere Mihajlovic: “Quando giocavo in Polonia – racconta emozionata – tramite il forum ebbi modo di conoscere la strada a Roma dove abitava. Ogni mese gli scrivevo una lettera, raccontandogli i miei progressi da calciatrice. Quella volta all’Olimpico, dopo una partita della Lazio, lo aspettai tantissimo perché credo uscì per ultimo causa controllo antidoping. Ad attenderlo c’era anche la moglie Arianna. Quando mi presentai a lei capii subito chi ero: “Ah ma tu sei Aneta!”. Ero felice perché significava che quelle missive erano state lette e non cestinate”. Poi uscì l’ex difensore laziale: “Mihajlovic fu molto gentile e disse a me e Gianluca di fargli sapere quando scendevamo a Roma per vedere la gara: lui ci avrebbe regalato i biglietti”. La conoscenza si è poi approfondita, a partire dal 2004, quando il tecnico del Torino si è trasferito all'Inter. Milano era più a portata di mano abitando a Cernobbio.
Mihajlovic con la maglia della Lazio, vestita dal '98 fino al 2004 (Getty)
Aneta è stata ospitata anche la scorsa estate al ritiro del Torino e su Mihajlovic giura: “Non è maschilista”. E quelle dichiarazioni al veleno a Melissa Satta, moglie di Boateng ("Io non sono razzista, ma penso che le donne non dovrebbero parlare di calcio, perché non sono adatte", dichiarò l’ex Milan)? “Credo che non volesse davvero generalizzare – risponde convinta – Forse erano parole personalmente indirizzate”.
Mihajlovic non è un sessista quindi: “Quando sono stata in ritiro ha dato a me e mio figlio un pallone e ci ha detto: “Giocate!” e non “Tieni questo per tuo figlio mentre tu resti qua”.