Per un tifoso romanista sono tempi cupi: all’Olimpico non c’è più la luna piena. Quella in grado di trasformare normali calciatori in lupi mannari. Manca la poderosa spinta della Curva Sud, è vero. Ma in trasferta (Plzen, Firenze, Torino), dove la parte calda del tifo non sta facendo mancare il proprio apporto accorrendo in massa, le cose non stanno andando certo meglio. Una squadra senza senso di appartenenza sembra quella costruita a suon di milioni, sacrificando anche i tanti talenti, romani e romanisti, cresciuti in casa e che stanno facendo così bene in giro per l’Italia, ma poi umiliata dal Porto nel preliminare di Champions League e che si ritrova già a -5 dal primo posto in classifica in campionato.

L’uomo rimasto da solo a scaldarsi sotto il nubifragio dell’Olimpico nel corso della recente Roma-Sampdoria, capace di infiammare i cuori e riportare il sole, è l’unico in questo momento che riesce a ridare la carica. Ai suoi compagni di squadra, come agli spettatori. Quarant’anni oggi, ma brucia ancora dentro di lui un fuoco che non si è mai spento. “In questi giorni mi sento in forma e in buona condizione atletica; è strano (ma bello!) osservare e imparare come a volte il tempo non indebolisca. Al contrario mi sento temprato: anche in campo riesco a correre e pressare gli avversari più che in passato. La chiave di tutto sono gli stimoli e il desiderio: la volontà è potere, nello sport e in tutte le sfide della vita. Giocare altri cinque anni? Dieci, scriveva sul suo blog nel 2011, cinque anni fa. Parole incredibilmente ancora attuali. 

E’ la passione, l’amore per l’unica maglia che indossa da 25 stagioni, la voglia di continuarla ancora ad indossare ed onorare, che gli ha permesso di fare negli ultimi mesi ancora cose da ragazzino: come avventarsi sul pallone di Nainggolan e battere Hart con uno dei suoi marchi di fabbrica diventando il marcatore più anziano della storia della Champions League; come rimontare un derby nel secondo tempo firmando una doppietta leggendaria (Da Costa staccato) e per questo da immortalare con un selfie con la propria gente; come sbucare, con la leggerezza di un diciottenne, appena entrato in campo contro il Torino, dietro i difensori avversari ed insaccare la palla al volo.

La classe è quella di sempre, la sua visione di gioco eccezionale, i suoi passaggi illuminanti. Aumentano le primavere, ma Totti non ha alcuna intenzione di fermarsi, sembra invece aver fermato il tempo ed anche in questa stagione sta continuando a ribadirlo. La sua missione non è ancora finita, il finale di una favola così lunga non può essere con una Roma così triste.