Trevor John Francis dalla contea del Devon. I calciatori inglesi hanno sempre portato con loro un’aura letteraria. L’essenzialità degli investigatori e la boria guascona di sua maestà il popolo imperatore. Ma quasi tutti quelli provenienti da questo immaginario spesso alterato e frainteso hanno sempre nascosto un intimo di ribellione ora sfoggiato ora abiurato nelle più tenere malinconie. 

Prima di approdare al Nottingham Forrest del genio Brian Howard Clough, l’annuncio del talento di Trevor Francis è passato per il decennio d’oro al Birmingham, una pioggia di gol, e per il biennio da record al Detroit Express. La breve esperienza alla NASL non gli bastava. Non poteva. Uno come lui avrebbe dovuto ambire al massimo della carriera e dei palmares. E allora dal 1979 al 1981, sotto una delle guide tecniche più incredibili e rivoluzionarie della storia del calcio, Trevor Francis avrebbe scritto la storia con quel Nottingham in grado di bissare quello che pochi club sono stati in grado di ripetere e che molti altri sognano ancora di poter raggiungere. E in una di quelle due finali di Champions vinte dal Forrest quella col Malmoe sarebbe stata decisa proprio da un gol di Trevor, passato alla storia anche per la cifra che il Nottingham aveva sborsato e per quella che avrebbe tirato fuori la Sampdoria per portarlo a Genova.

La sua stella iniziò a brillare subito, più presto di quanto non sarebbero subito riusciti a fare altri campioni provenienti dall’estero. Ma l’inizio di una serie di infortuni e, pare, il non aver dato ascolto ai medici sulle giuste diete da seguire per evitare che questi si ripetessero, avrebbero interrotto troppo spesso Trevor Francis. Eppure un trofeo alla Sampdoria che tanto aveva scommesso su di lui lo “Sceriffo di Nottingham” è riuscito a regalarlo. Una Coppa Italia nel 1985, a presagio di quel decennio che avrebbe visto i doriani conquistare trofei e scudetto, prima di finire poco a poco in quella fragilità dove non sarebbe stato più possibile condurre i Trevor Francis.

I quattro anni alla Sampdoria, però, sono stati segnati da troppe assenze. Troppi acciacchi e troppa voglia di rispondere a una maniacalità in antitesi con le abitudini troppo britanniche di Trevor. In allenamento tante giocate di qualità, spettacolo e meraviglie. In gara l’indisponibilità. “I am non fit for playing”, “Non sono ancora pronto a giocare”. La paura di sfigurare, la paura di peggiorare le sue condizioni, la paura di non essere più Trevor Francis lo hanno costretto a ripiegare in troppe panchine e troppe tribune. Fino a una panchina rifiutata per una più confortante tribuna in occasione di una gara di Coppa delle Coppe col Benfica. Uno degli ultimi atti a Genova, per poi passare all’Atalanta, ai Rangers, finendo la carriera in Inghilterra con QPR e Sheffield. 

Eppure, a distanza di tanti anni, nessuno lo ha dimenticato. Dai suoi ex compagni a chi lo ha affrontato. Di lui Collovati ha detto che lo ricorda come tra gli avversari più difficili che lui abbia marcato. E negli anni di Collovati sono passati i migliori. Con un po’ più di fortuna, forse, Trevor Francis sarebbe stato collocato tra quelli. O, chissà, a modo suo merita comunque di esserci.