Ai treni lui ha sempre preferito le auto. Anzi, le belle auto. Come quella che guidava quando aveva solo 17 anni e solo quelli (tra le cose che non aveva, ad esempio, c’era la patente di guida) e quando fu fermato dalla Polizia, in pieno centro. Disse di essere Traorè, e il Milan, che lo aveva tesserato pochi mesi prima, non ci rimase benissimo. O come la Ferrari che sfasciò contro un albero, quando era in prestito al Montpellier, due anni dopo. O come quella a bordo della quale si sfasciò una caviglia, nel vivo della scorsa stagione, 11 mesi fa.

Eppure, ai treni, M’baye Niang avrebbe dovuto interessarsi di più. Farsi un’idea della frequenza con cui passano, sulla possibilità che non passino. Sull’eventualità di restare appiedato in stazione, se ti capita di perdere l’ultimo.

Il primo treno di Niang passò troppo velocemente, e quando probabilmente era troppo giovane. Eppure, quel palo del Camp Nou trema ancora. Sono passati quasi quattro anni, da quella chance che per il Milan, dopo il 2-0 di San Siro all’andata, avrebbe potuto significare il passaggio ai quarti di finale contro Messi, Xavi e Iniesta, mica pizza e fichi. A Niang, va dato atto di aver incassato alla grande quella botta, da giovanissimo: una botta che poteva già significare la sliding door di una carriera.

Nel mezzo, l’avventura di sei mesi al Genoa, che restituì al Milan un giocatore diverso, pronto per prendere il secondo treno in rossonero. Più forte, soprattutto mentalmente, sembrava. Sembrava.

Del Milan e dell’ambiente rossonero si può dire che abbiano sempre messo Niang nelle condizioni ideale di ambeintamento, prima, di crescita poi, di fiducia sempre e comunque. A maggio, solo a maggio, l’ingresso in campo all’84’ del francese, in finale di Coppa Italia, veniva salutato dalla curva rossonera all’Olimpico come quello di un salvatore della patria, come della scheggia che poteva far impazzire la partita. Come poteva far impazzire il campionato, questo campionato, il rigore contro la Roma sullo 0-0. Non accadde allora, non è accaduto poi. Non è accaduto ad esempio contro il Torino, quando una cattiveria diversa di Niang sul pallone nel recupero poteva trasformare uno 0-2 in un 3-2.

Poi, infine, a furia di aspettare un Godot mai arrivato, qualcosa tra il Milan e Niang si è ghiacciato. Se fuori tempo massimo, in anticipo, o semplicemente con la giusta dose di pazienza amaramente consumata, lo dirà il tempo e il prosieguo della carriera del francese. Altrove, o al Milan.

Il gran rifiuto di Niang verso il Genoa, verso l’ambiente che lo rigenerò (e probabilmente lo rese un calciatore), verso il prestito che avrebbe potuto aprire magari al terzo treno in rossonero (quanti davvero possono dire altrettanto?) non pare un segno che vada a beneficio del francese. Avrebbe potuto, e dovuto, prestare più attenzione ai treni, M’baye Niang. Ha ancora tempo per farlo, tra un sogno di Premier League e l’altro. Ha ancora un po’ di tempo, Niang. Ma sempre meno.