Di Monia Bracciali
Follow @moniar81
Undici sordomuti che cercavano di dialogare in campo. Questa è stata la Lazio che ha giocato domenica scorsa contro il Palermo. Il gioco corale dell'anno precedente con cui la squadra di Pioli aveva centrato la Champions, è stato soppiantato da azioni individuali mal riuscite e dall'esito fallimentare, una non comunicazione che anche quando si realizzava, non veniva compresa. Un punto acciuffato che sa di "brodino", che non risolve la crisi, semmai palesa quel giocare in solitaria, con i reparti scollegati tra loro, esattamente come la testa di chi va in campo. Soluzioni pronte non ci sono: non servirà mandare via Pioli, perchè seppur non si veda più la mano del tecnico, in presa forte anche sullo spogliatoio, non è l'allenatore il problema.
Undici anni di gestione Lotito rendono evidenti come la squadra sia di fronte all'ennesimo ciclo non vincente, che sbatte su un vicolo cieco a causa del low profile imposto dall'alto e di un salto di qualità che la dirigenza non ha mai voluto fare nei momenti topici. Il diventare "grandi" non rientra nella programmazione, spesso approssimativa. E così, quando l'amaro di una stagione deludente abbraccia la consapevolezza che sarebbe bastato "poco" per la crescita dei risultati, di solito il ciclo biancoceleste si chiude.
É ciò che sta accadendo anche adesso. La Lazio che in una stagione conquista una finale di Coppa Italia e quindi anche di Supercoppa e un preliminare di Champions, vede frantumarsi tutti e tre gli obiettivi, prendere imbarcate in campionato a Verona col Chievo (4-0) oppure contro il Napoli (5-0).
Un disco già sentito e quindi rotto.
Nel 2009 la Lazio di Delio Rossi arriva decima in A ma conquista la Coppa Italia. Passato il manico a Ballardini, arriva anche la Supercoppa contro l'Inter. Il campionato, eccezion fatta per le prime due giornate, è un disastro. A febbraio Reja sostituisce l'attuale mister del Palermo e chiude 12esima la stagione, con tutto il rimpianto di non aver capito come gestire e migliorare il potenziale dell'anno precedente. La stessa cosa si ripete al secondo anno di Petkovic. La vittoria nel derby di Coppa del 2013 pare il preludio-illusione di una nuova stagione da giocarsi in modo ancora più competitivo. Finirà invece a stracci col Ct della Svizzera e con Reja a prenderne il posto per far dare un epilogo dignitoso al campionato.
A caldo le colpe ricadono sull'allenatore, poi sui giocatori che paiono aver assorbito a livello di mentalità quel limite societario oltre il quale non è possibile crescere. Una sorta di consapevolezza dovuta a mesi di mercato nei quali non sono state fatte scelte ponderate in ogni reparto, non si è tolta la sensazione che i traguardi raggiunti la stagione precedente non siano stati frutto di una felice casualità. La squadra rimane una tela di schizzi, mai un dipinto. Lotito posa ogni volta la vernice e la speranza della piazza è che il risultato valga comunque un quadro di Pollock.
Ogni salto di qualità mancato è un vuoto di colori nonchè di motivazioni, quelle che Candreva, nel post gara di domenica, ha tirato fuori assieme al "tutto che manca". Davanti all'ennesima stagione di frustrazione per mancato "upgrade", i primi ad essere crocifissi sono gli stimoli, nonchè le teste dei giocatori.
Se questo è il ciclo da imparare a memoria, se la linea della società non cambia, l'unica soluzione è quella più impopolare: la cessione annuale dei pezzi da 90 ma anche di quelli da 50. Come una provinciale? Sì, perchè è questo il segno distintivo del percorso di Lotito. Per i tesserati la Lazio non è più un punto di arrivo ma una vetrina dove fare altro e andare a cercare sistemazione altrove. Cedendo ogni volta i Biglia, i Candreva e i Parolo, rimpiazzandoli per lo più con "scommesse", la compagine biancoceleste non diventerà mai grande ma per lo meno le motivazioni dei nuovi non faranno sanguinare gli occhi con partite dove ognuno gioca per conto suo, senza vedere l'utilità di non mettere in cattedra solo se stesso. E a Verona, magari, potrebbe diventare più difficile prendere quattro reti dal Chievo.