di Pietro Turchi

 

 

Avevo 8 anni e tifavo Inter. Un tifo nato per caso, come per tutti i bambini che non hanno una tradizione famigliare rocciosa dal punto di vista calcistico. Mi piaceva il blu, e nell’estate del ’97 mi innamorai della marea di gente che accoglieva festante Ronaldo. Tanto bastava per scegliere, a cuor leggero, la fede nerazzurra.

Come tutti i bambini di quegli anni, l’appuntamento con l’album delle figurine Panini andava di pari passo con l’inizio della scuola. Un po’ come dire “a scuola ci vado, ma non senza figurine”.

 

La caccia serrata ai giocatori dell’Inter era ovviamente una priorità, ma ricordo che, in una delle prime bustine, trovai Diego Fuser, centrocampista del Parma che vestiva la casacca numero 7 a tinte giallo-blu orizzontali. Una della maglie più belle di sempre. 

La curiosità di un bambino è forse una di quelle cose che, con il tempo, perdi senza più riacquistare e così, non so per quale motivo, per quale alchimia, per quale sensazione, ma da quel giorno iniziai a interessarmi al Parma. Nessun risvolto tecnico o tattico, ci mancherebbe, ma solo il piacere e la voglia di vedere in azione quei giocatori visti fino ad allora solamente su carta.

 

Di motivi, per la verità, ce n’erano tanti. Crespo e Chiesa, su tutti. Due attaccanti per la quale ho speso battiti cardiaci, che ho potuto apprezzare e mi hanno saputo trasmettere sensazioni calcisticamente vere.  Più per il primo, che per il secondo. 

Per motivi temporali, sicuramente, ma anche per quella che è stata la sua carriera, passata tra le braccia del mio nerazzurro. Per dirla tutta: 25 maggio 2005, Istanbul, Milan-Liverpool 3-3. Mi dispiacque solo per lui.

Nerazzurro diventò pure Juan Sebastian Veron, uno che quando toccava palla faceva aumentare i ritmi cardiaci, palpitazioni da classe sopraffina. Percepivi carisma solamente a guardarlo.

Ammiravo Nestor Sensini. Primo perché era il mio baluardo difensivo a Fifa 1999, secondo perché era piacevolmente “cazzuto”. Mai indietro la gamba, tosto.

Ci rimasi male quando il trio Cannavaro-Thuram-Buffon passò alla Juventus. Mi piacevano, eccome. La Juventus molto meno, ma ho continuato a nutrire rispetto e ammirazione per loro.

Da bambino fatichi a capire le dinamiche del centrocampo; nel senso che ami più le falcate e i tiri da fuori. Il compitino non lo leggi facilmente. 

Mi piacevano le sgroppate di Vanoli, per esempio, ma ho saputo pure apprezzare il Boghossian di allora e Dino Baggio. Per me Dino è però sempre stato “l’altro Baggio”, un po’ per semplicità, un po’ perché, gestualmente, non è mai stato il mio tipo di giocatore.

 

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Il filo conduttore porta inevitabilmente alla situazione attuale. Con il Parma che sbiadisce e il ricordo di quegli anni che si fa sempre più forte e sincero. Senza particolari motivi, provo un senso di vuoto a pensare a quello che sta accandendo al Parma, abbandonato a sé stesso e ad un futuro che tradisce la storia.

Resta il passato, caro a me e a tanti di voi, e poco altro.

Forza Parma.