Per quanto inutile dal punto di vista del fine principale, il risultato del Napoli a Lipsia è la summa emblematica di questi anni. Benché sin dalla vigilia della partita di andata le sensazioni, come già giustificato - contrariamente alla “scandalosi” collettiva e alla retorica di circostanza - in questo blog, erano chiare rispetto alle intenzioni, consce o inconsce, dei partenopei, troppo concentrati sul campionato, la gara di ritorno in Germania ha lasciato un avviso alla squadra e alla società.
Il Napoli avrebbe potuto anche qualificarsi, sconfessando chi aveva sospettato altre intenzioni, chi le aveva in qualche modo accettate e comprese, sconfessando addirittura se stesso, ma il doppio confronto ha raccontato una condizione che ha in sé tutti i significati reali e indicativi di questo Napoli e di qualche altro Napoli scorso e trascorso. Le ultime dichiarazioni di Sarri, la forza mentale della squadra, in una parola: la consapevolezza, fanno trapelare la coscienza di una maturità filosofica di un gruppo i cui meriti, oltre ai calciatori, vanno attribuiti all’intelligenza di un allenatore che in questi anni ha saputo prima di tutto leggere con sottile senso della valutazione quanto gli si era parato davanti sin dal principio.
La differenza tra Sarri e Benitez è che il primo ha proseguito, interpretandola secondo se stesso, una filosofia iniziata da un allenatore, lo spagnolo, che si era fermato alla dettatura in calce di un’idea esclusivamente fondata su necessità protocollari, assolute, incontestabili, troppo dipendenti da un’esecuzione manageriale alla quale questa società non era e non è ancora pronta. Benitez, infatti, è andato avanti applicandosi fino allo spasimo, con il suo turnover rivolto a utilizzare anche calciatori non qualitativamente approssimabili a quelli che invece facevano parte del suo indice di affidabilità. Questa applicazione, in certi casi apparentemente inspiegabile, avrebbe dovuto servire da verifica alle scelte e alle strategie della società, per il settore giovanile e per la campagna acquisti, per il marketing e per le strutture, e per tutto quanto dentro il campionario trito e ritrito di necessità parzialmente evase in questi ultimi anni.
Sarri, e il doppio confronto di Lipsia lo ha verificato (sia di fatto che simbolicamente), sta dimostrando l’importanza della parola qualità. Lo sta facendo non dall’alto della richiesta di profili certificati e prestigiosi, ma dal basso della ricerca anche in mezzo a quello che ancora non può essere considerato tale. L’impiego in più posizioni del campo di alcuni calciatori (Zielinski ne è un esempio lampante), la capacità di restituire vigoria e pienezza di prestazioni ad alcuni calciatori (la crescita di Mario Rui e la prontezza di Tonelli) sono la dimostrazione tanto di quella adattabilità che qualcuno a volte gli contesta, quanto della necessità, se il Napoli vuole davvero concorrere ad alti livelli, di disporre di un organico che risponda realmente alla parola qualità, oltre la banalità e la comodità della scusante numerica. Perché se alcuni “rincalzi” restano allo stato di rincalzi, il numero giusto di calciatori in organico è solo una scusa e una giustificazione di comodo.
Ecco che il 2-0 di Lispia, ottenuto in serenità, in poetica serietà, agguantando con fermezza la rassegnazione del pronostico, ha assunto i toni dell’approssimazione che da alcuni anni manifesta la sofferente tensione di un Napoli vicinissimo alla grandezza, ma non ancora completo per raggiungerla. Il 2-0 di Lipsia sembra essere quasi arrivato con la seraficità di un gruppo che ha espresso una prestazione-messaggio, una sorta di interiorizzazione superata nelle ragioni e nella maturità di renderla una forza anziché una debolezza, ma col monito saggio e silenzioso. Il 2-0 di Lipsia è stato l’arresto sulla linea d’ombra, l’affaccio sul varco ultimo.
E si facciano da parte col loro cinico e superficiale pragmatismo quelli che tacciano Sarri di non aver vinto ancora nulla. Guardare a certi percorsi con la malafede di chi trattiene in gola un nodo d’invidia o di mediocrità, significa ignorare un insieme consistente delle manovre che questa disciplina ha compiuto nel suo secolo e passa di storia. E adesso, probabilmente, non è nemmeno a tifosi e a osservatori che spetti la lucidità della comprensione, ma alla società. Al di là di come finirà questa stagione, non sarebbe un azzardo considerare questo momento come il più delicato e significativo della storia di questa “neo” società, dal 2004 a oggi. Il 2-0 di Lipsia, chissà se sommato pure all’uscita infelice dell’andata, potrebbe aver detto anche questo. Un’eliminazione, vissuta dall’ambiente col sorriso e il segno del ringraziamento.
Che non si trasformi in tenera e affettuosa rassegnazione la sconfitta, specie se questa ha fatto sì che in molti, soprattutto tra i tifosi e i più sinceri appassionati, volessero ancora più bene a quello a cui stanno assistendo.