di Antonio Cristiano

 

Il Napoli ha vinto la Supercoppa Italiana. L’ha vinta meritando nella divertente finale contro la Juventus, che fino a prova contraria rimane la squadra più forte del nostro campionato. L’ha vinta nonostante tutti i suoi limiti, perfettamente fotografati dal pasticcio firmato Albiol-Koulibaly che ha steso il tappeto rosso a Tevez per il primo gol. L’ha vinta perché l’ha voluta più della Juventus, vuoi per la bacheca straripante dei bianconeri, vuoi perché i napoletani hanno messo in campo tutta la voglia di rivalsa nata e cresciuta in un inizio di stagione che cammina ben sotto l’obiettivo sbandierato la scorsa estate da presidente e capitano. L’ha vinta grazie agli uomini più fischiati dell’anno: Gargano, che ha lavorato a testa bassa e si è fatto spazio in silenzio, mettendo in campo cuore e polmoni; Hamsik, troppo spesso accusato di mancanza di personalità, che nel primo tempo si è caricato sulle spalle i compagni tramortiti; Rafael, costantemente crocifisso per assolvere tutti i peccati della squadra, riscopertosi novello Dudek. E l’ha vinta, checché se ne dica, grazie a Rafa Benitez. Quella coppa è anche (forse soprattutto) loro.

 

Eppure, quando è arrivato il momento di alzarla al cielo, la coppa, una presenza ingombrante s’è fatta spazio fra allenatore e capitano. Una presenza fondamentale, sia chiaro, ché se non c’era lui chissà dove starebbe, il Napoli. Ma anche una presenza che s’è fatta assenza negli ultimi mesi, quelli difficili, quelli delle sconfitte con le piccole e dei risultati che non arrivavano. Perché da settembre ad oggi De Laurentiis s’è visto poco, troppo poco. Avrebbe dovuto fare di più: sarebbe bastato intervenire e farsi sentire quando la sua squadra, quella squadra che lui stesso aveva definito da scudetto, era continuamente messa alla gogna. In un momento in cui avrebbe dovuto difendere allenatore e giocatori, in un momento in cui avrebbe dovuto pubblicamente mangiare la sua fetta di responsabilità, ADL non si è visto: né un tweet, né un intervento post partita.

 

Si è visto e sentito ieri, alla vigilia di un appuntamento fondamentale per la stagione azzurra. Si è visto anche perché galvanizzato, diciamocelo, dall’idea della partita fuori porta, visto che da sempre ragiona con la mentalità dell’imprenditore (niente di male, anzi) che vuole esportare il marchio che rappresenta in mercati ricchi, meglio se poco battuti. Si è visto in tribuna, durante la partita, come sempre. E poi si è visto in mezzo ai giocatori a festeggiare la vittoria. Niente di male anche qui, e nemmeno niente di nuovo, considerato che era successo anche nelle altre due vittorie della sua gestione (la Coppa Italia del 2012 e quella dello scorso maggio). Eppure c’è stato un gesto che ha rovinato tutto: Hamsik era pronto ad alzare la coppa e De Laurentiis gliel’ha quasi strappata di mano, pretendendo di partecipare al gesto celebrativo per antonomasia, gesto che, da che ho memoria, è sempre stato strettamente riservato al capitano.

 

Sembra innocuo, quell’avido movimento di mani, ma è stato fastidioso e censurabile: avrebbe potuto (anzi, dovuto) aspettare il suo momento, il presidente, far festeggiare la squadra e poi prendersi in braccio la coppa. E l’avrebbe dovuto fare tanto per l’assenza mediatica quanto perché il riscatto è soprattutto della squadra e dell’allenatore, che hanno lottato sotto i riflettori contro un ambiente spesso troppo severo e al limite dell’ostilità. Il protagonismo è un suo difetto da sempre, ma stasera più che mai avrebbe dovuto fare il possibile per tenerlo a freno, e lasciare ai suoi uomini il giusto riconoscimento per una partita giocata finalmente con consapevolezza, cuore e intensità. Forse, per deformazione professionale, ha confuso la partita del riscatto con un “Natale a Doha” che, fortunatamente, non ha mai girato.