Come una tortura medioevale il calcio scommesse somministra ancora, goccia dopo goccia, il suo veleno. Le reazioni sono sempre le stesse: occhi e bocche spalancate a dimostrar tutta la sorpresa del caso. La stessa espressione che saremo costretti a proporre il giorno di Natale davanti ad un regalo che, di bello, non ha proprio nulla. Neanche la confezione. Dicono che gli occhi siano lo specchio dell’anima. La verità si legge ed è sempre maledettamente chiara.
Verrebbe da dire: “si salvi chi può!”. Qui, purtroppo, sembra non potersi salvare davvero nessuno.
In fin dei conti chi se ne frega? Il tifoso soffre? È abituato a soffrire e per sempre dovrà farlo.
È ormai invalsa la teorica che l’ordinamento sportivo sia da ristrutturare. Le sue leggi anacronistiche e prive di senso. No! Questo è un gioco fin troppo scontato: nutrire il dissenso per indebolirne l’autorevolezza.
A scanso di equivoci: violare, più o meno coscientemente, ma sistematicamente una legge non significa abrogare!
Nell’Ordinamento italiano è presente il concetto di consuetudine. Essa consiste in un comportamento costante ed uniforme, tenuto da tutti i consociati, con la convinzione che, tale comportamento, sia doveroso o da considerarsi moralmente obbligatorio. È un comportamento positivo che, nel tempo, entra a far parte degli usi perchè suffragato dal sentir comune. Se tale concetto è ricompreso tra le fonti di legge, stessa cosa non può certo dirsi per il suo opposto: la “desuetudine”.
Essa rappresenta la “perdita dell’abitudine a far qualcosa”. La costante mancanza di rispetto per una legge non può certo essere motivo della sua abrogazione. Questo è un concetto che molti, ultimamente, sembrano aver dimenticato o ignorato.
Articolo 7, comma 7, del Codice di Giustizia Sportiva: “i soggetti di cui all’art. 1, commi 1 e 5, che comunque abbiano avuto rapporti con società o persone che abbiano posto o stiano per porre in essere taluno degli atti indicati ai commi precedenti (illecito sportivo) ovvero che siano venuti a conoscenza in qualunque modo che società o persone abbiano posto o stiano per porre in essere taluno di detti atti, hanno il dovere di informarne, senza indugio, la Procura federale della FIGC”.
Se, nonostante la conoscenza di tali fatti, il soggetto in questione non provvede a denunciarli alla Procura federale lo stesso verrà sanzionato. Finora, in casi analoghi, la sanzione comminata è stata l’inibizione o la squalifica non inferiore a 6 mesi e non superiore ad un anno. Si comprende, dunque, come la sanzione richiesta dal Procuratore Palazzi per Paolo Cannavaro, capitano dei partenopei, sia in linea con i precedenti. Tuttavia si è visto come, attraversi i vari ricorsi, si possa arrivare, più o meno condivisibilmente, anche a 4 mesi.
L’istituto della omessa denuncia ha subito, soprattutto nell’ultimo periodo, pesanti critiche. È indubbio che il coinvolgimento dei grandi protagonisti del calcio italiano abbia sicuramente alimentato i dissapori ed il malcontento. Questo, tuttavia, non significa che tale pensiero sia da condividere.
Non si discute minimamente sull’onestà morale ed intellettuale del campione azzurro. Il capitano Cannavaro ha, con forza, immediatamente cassato la proposta di illecito del suo ex compagno Gianello. Oggetto di discussione è, esclusivamente, la mancata segnalazione di tale proposta, configurabile un illecito sportivo, alla compententi sedi federali.
Tanto andava fatto. Anche se tale obbligo fosse stato, per assurdo (mica tanto), sconosciuto all’atleta.
L’articolo 2 del Codice di Giustizia Sportiva riproduce un principio basilare del diritto moderno: “Ignorantia legis non excusat”. “L’ignoranza dello Statuto e delle norme federali non può essere invocata ad alcun effetto”.
Sebbene nessuno mai potrebbe mettere in dubbio la legittimità di tale principio che, anzi, si presenta come fulcro di buona parte del diritto moderno, non si può, altrettato, certo negare come la maggiorparte degli atleti, seppur professionisti, siano, purtroppo, completamente all’oscuro di tutta la normativa vigente nell’Ordinamento Sportivo.
È qui che risiede il più grande problema e, a parer di chi scrive, la responsabilità di tale grave lacuna risiede, oltre che nell’incoscienza degli stessi atleti, anche e forse soprattutto, nella scarsa importanza data, dalle Istituzioni e dalla stessa Federazione, all’argomento.
Gli atleti sono gli attori principali del mondo sportivo, eppure, sono i primi a non conoscerne le leggi che lo governano. Non è sufficiente creare il sistema perchè esso funzioni, bisogna istruire i soggetti ivi residenti affinchè gli stessi ne rispettino le regole e ne facciano funzionare, nel miglior modo possibile, i meccanismi.
Ecco perchè, forzando un po’ la mano, forse, la più grave omessa denuncia andrebbe addebitata alla Federazione che, nulla fa, per istruire i propri membri.
Personalmente non condivido assolutamente l’attuale campagna ostruzionistica contro tali forme di responsabilità. È incontestabile che, condivisibili o meno, tali istituti siano funzionali ad incentivare, finalmente, una maggiore responsabilizzazione dei soggetti che gravitano nel mondo del calcio.
Avv. Cristian Zambrini (www.studiolegalezambrini.it)