Sono lieto di ospitare nel mio blog le opinioni dell'amico e collega Antonio Cistiano, del nostro portale tematico tutto partenopeo Canale Napoli, in merito al clamoroso risultato - tanto ampio quanto meritato, in base al divario tecnico - di ieri sera al termine di Spagna - Tahiti.
Giusto o meno "rispettare" l'avversario, fermandocisi una volta acquisito con assoluta certezza il risultato? E' un reato di lesa sportività, per non dire maestà, quello di continuare ad attaccare con risolutezza quando l'avversario si dimostra estremamente inferiore? E' giusto infierire contro un'opposizione inerme, quando si gioca una partita di calcio, peraltro assolutamente determinante ai fini degli sviluppi del proprio percorso all'interno d'un torneo comunque importante come la Confederations Cup? Io, ed Antonio, la vediamo così.
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Il calcio è lo sport più bello, più diffuso e più praticato del mondo. Non passa giorno senza parlarne, non passa giorno senza scriverne o leggerne, non passa giorno senza anche distrattamente praticarlo, dal parare una pallina di carta a calciare una lattina. Il calcio.
Detto questo, torniamo alla prima frase ed eliminiamo gli aggettivi: il calcio è uno sport. Come tale, ricordando De Coubertin, si basa su tre principi fondamentali: lealtà, impegno, rispetto. Alla fine sono valori talmente collegati da poterne indicare solo uno: il rispetto. Parola dalle mille sfumature, rispetto: tanto al centro delle campagne FIFA anti-discriminazione, quando al centro di continui battibecchi sul modo in cui bisogna onorare il campo di gioco e l’avversario.
Preambolo: partita di Confederations Cup, Spagna – Tahiti. Da una parte i campioni del mondo e d’Europa, dall’altra i campioni d’Oceania – ricordando che l’Australia, dal 2006, fa parte dell’AFC, e che quindi Tahiti ha avuto a che fare con squadre non esattamente blasonate (per intenderci: le Isole Salomone e la Nuova Caledonia). La partita è, come ci si aspettava, senza storia: finisce 10-0, ma per la nazionale oceanica, composta da giocatori modesti, è comunque una festa.
Calciatori di Tahiti in un momento di relax (getty images)
Eppure, qualcuno ha storto il naso e incolpato la Spagna, rea d’aver maltrattato la povera Tahiti e non aver mostrato un minimo di pietà: s’è parlato di umiliazione (non dimentichiamoci questa parola, è importante). Guardando la partita, mi sono venuti in mente due episodi abbastanza recenti collegati al calcio di casa nostra.
Per il primo, bisogna tornare indietro di un anno e mezzo: è il 21 dicembre 2011, al San Paolo si gioca il recupero della prima giornata fra Napoli e Genoa. Le squadre, le cui tifoserie sono gemellate da una vita, arrivarono all’incontro appaiate a quota 21 punti. Gli azzurri, galvanizzati dal superamento del girone di Champions, dilagano: finisce 6-1. Nemmeno un mese dopo si giocò il ritorno a Marassi, ed il Genoa vinse 3-2. Il presidente rossoblu Preziosi, dopo quella partita, disse: “Volevo vincere 4-0 per entrare in campo e mettermi a ballare come aveva fatto Zuniga sulla rete del 6-1 al San Paolo. Forse il ragazzo non lo sa perché è straniero, ma nel calcio ci vuole rispetto. Lui ed altri due compagni non hanno mostrato questo rispetto nella gara di andata". Rispetto. Ricordiamocelo.
Secondo episodio, qualche mese dopo: primo luglio 2012, finale degli Europei, Spagna – Italia 4-0. Gli azzurri, autori di un ottimo torneo, soccombono sotto i colpi delle Furie Rosse: segnano David Silva e Jordi Alba nel primo tempo, Mata e Torres nel secondo. Nella ripresa furono concessi tre minuti di recupero, e prima che finisse la partita Casillas parlò con l’arbitro di porta chiedendogli di anticipare il triplice fischio: “Respect for the rival! Respect for Italy!”. Rispetto, ancora. Una richiesta che veniva dagli stessi spagnoli che ieri non hanno avuto nessuna remore a farne 10 ai poveri tahitiani.
E allora, dov’è il rispetto? Dov’è la verità sull’onore del campo? È come disse Preziosi e chiese Casillas, e cioè che quando una squadra manifesta inferiorità bisogna fermarsi e non infierire?
Fare una cosa del genere non è rispettare l’avversario: è umiliarlo. È uno dei problemi dell’arretratezza del calcio italiano. Perché c’è un modo solo per rispettare l’avversario: giocandosela sempre, al 100% delle proprie possibilità, finché l’arbitro non dice che può bastare. Così si gioca secondo i valori dello sport, secondo lealtà, impegno e rispetto. Invece, la cosa più disonorevole per l’avversario dovrebbe essere vedere una squadra che vince 5-0 mettersi a fare melina per mezzora. Ed è per questo che la richiesta di Casillas, quel giorno, fece molto più male dei quattro goal presi. È uno scontro, è una partita, ed il calcio non è una scienza esatta: se si decide di giocare quel giorno, e quel giorno tu vali dieci volte l’avversario, allora devi fare goal dieci volte mettendo in campo tutta i valori di cui si dispone: questo è il rispetto.
Eppure la questione rimane aperta, ed ogni volta che ci ritroviamo di fronte a una goleada si fa sempre lo stesso discorso. Ma il problema esiste: ed è nostro, ed è culturale. Il problema è che c’è una linea che separa rispetto e umiliazione, e – ahinoi - l’Italia calcistica è caduta dal lato sbagliato.
di Antonio Cristiano per Canale Napoli
Alfredo De Vuono