La storia di Roberto De Zerbi, tecnico di quel Foggia che appena otto giorni addietro ha perso la Finale dei Play-off di Lega Pro contro il Pisa di Gattuso, merita di essere raccontata per la sua ordinarietà che la fa apparire eccezionale in una gestione delle cose di calcio che si è abituata ad usare e gettare quegli interpreti chiamati, a turno, a recitare la parte dei protagonisti, pur conoscendo, a malapena, quella da comprimari.
Quota parte della responsabilità va ascritta anche a quanti si prestano, più o meno consapevolmente, a questo giochino, abbagliati dai riflettori che la ribalta può offrire, senza curarsi che da troppa luce si rischia di rimanere scottati. Soprattutto in assenza delle necessarie protezioni.

Sbarcato a Foggia nell’estate del 2014, dopo una esperienza tutt’altro che indimenticabile al Darfo Boario, in serie D, Roberto De Zerbi conduce il Foggia al 7.o posto al termine della sua prima stagione alla guida dei satanelli, proponendo un calcio molto offensivo ed organizzato: al termine della regular-season 2014/15 saranno addirittura 63 le reti messe a segno dal miglior attacco della Lega Pro, girone C.
Nonostante qualche sirena dalla Serie B, De Zerbi rinnova il proprio rapporto contrattuale col sodalizio rossonero e riprende la costruzione della propria creatura, in maniera meticolosa.

Il campionato 2015/16 rappresenta la consacrazione per il tecnico nativo di Brescia: il suo Foggia mette in mostra un calcio spettacolare, di chiara ispirazione “guardiolista”, fatto di movimento continuo, triangoli larghi e stretti, gioco palla a terra, tutto splendidamente finalizzato da Iemmello, nel frattempo divenuto “re Pietro” per tutti i tifosi di un “Pino Zaccheria” che, negli ultimi mesi, è stato frequentato da tanti osservatori di club di serie A e B, tutti venuti a gustarsi il Foggia e, soprattutto, De Zerbi.

Il Crotone, fresco di promozione in serie A, stava monitorando De Zerbi già da un po’ e lo aveva messo in cima alla lista delle preferenze per la sostituzione del partente Ivan Juric: le voci sono stati più che insistenti nel corso di tutto il finale di stagione del Foggia, play-off compresi, ma De Zerbi ha sempre pubblicamente affermato di avere come unico obiettivo quello della conquista della cadetteria col “suo” Foggia. In tanti, compreso chi vi scrive, pensavano si trattasse delle solite frasi di circostanza, buone a nascondere un accordo già formalizzato e soltanto da siglare con i pitagorici: troppo forte appariva il richiamo della serie A per un tecnico che allena fra i professionisti da appena due stagioni.
Com’è finita la storia lo sappiamo tutti: il Pisa ha infranto il sogno del Foggia nella doppia finale play-off e dopo nemmeno una settimana, uno scarno comunicato, il Foggia ha ufficializzato la prosecuzione del rapporto con Roberto De Zerbi: niente Crotone e niente serie A per lui, come si pensava, e nemmeno Cesena, in serie B.

Tutto ciò testimonia che il tecnico del Foggia non aveva raggiunto alcun accordo col Crotone e che da professionista serio, quale ha dimostrato di essere, ha lavorato per la causa del proprio club fino all’ultimo secondo della finale play-off, senza stringere patti con altri, nemmeno al cospetto della serie A.
Il tecnico bresciano continuerà in Lega Pro, a Foggia, dove ha iniziato a costruire un progetto e a costruirsi, così come aveva lasciato intendere al termine della finale di ritorno col Pisa, con il cadavere del sogno infranto ancora caldo: “Serve migliorarsi per crescere e se ciò sarà possibile non esiterei a rimanere a Foggia”. Detto, fatto: De Zerbi ha scelto di proseguire nel suo percorso, ha preferito la gavetta alle luci abbaglianti, ma magari effimere, di quella serie A che avrebbe rappresentato un doppio salto personale e lavorativo. Per il quale, forse, non s’è sentito ancora pronto, preferendo continuare a crescere gradatamente.

Il tecnico del Foggia, nella conferenza stampa di ieri sera al "Pino Zaccheria" ha esplicitato le sue ragioni: "Io voglio arrivarci in alto, ma da protagonista. Stare in Lega Pro e non essere in serie A, per me non è un sacrificio. Per migliorarsi ci vuole l'organizzazione: non vado alla ricerca della panchina prestigiosa o meno, anche perché questa panchina per me è il massimo".

Una scelta “normale”, che ha anche il sapore della riconoscenza verso Foggia, che appare rivoluzionaria se calata in un contesto all’interno del quale l’ordinarietà è costituita da un susseguirsi di tecnici mandati allo sbaraglio, a dirigere panchine anche di club con una storia “pesante”, scelti (?) da società che, necessitando di un capro espiatorio da offrire in pasto al famelico popolo dei tifosi, non esitano a sacrificare qualche giovane mister, gettandolo nel bel mezzo del ring, senza guantoni né paradenti.

Il riferimento a Brocchi ed al Milan che appare nel titolo è stato scelto solo perché è l’ultimo, in ordine cronologico, di una sequela di casi che vede l’ex centrocampista di Milan, Inter e Verona, in bella compagnia, con tanti altri colleghi catapultati nel calcio dei big, dalla sera alla mattina: Filippo Inzaghi, che non a caso ricomincia dalla Lega Pro, a Venezia, Stramaccioni, Seedorf, Simone Inzaghi (che pure ha fatto discretamente) e via discorrendo. In comune, oltre all’inesperienza a certi livelli, tutti questi tecnici hanno avuto grosse difficoltà a prendere in mano le redini dei rispettivi gruppi, a creare la necessaria empatia fra staff tecnico e spogliatoio, ad innescare all’unisono testa, cuore e gambe dei propri ragazzi, ed anche a gestire la pressione, persino quella dei media nel dopo-partita, cosa che può sembrare una quisquilia ma, a lungo andare, è elemento capace di minare l’autostima dei diretti interessati, oltre che il proprio ascendente all’interno dello spogliatoio. Seedorf e Simone Inzaghi un po’ meno, ma il ricordo dei post-gara di Stramaccioni, Filippo Inzaghi e Brocchi è un qualcosa che, umanamente, fa venire tenerezza verso i diretti interessati, anche a distanza di tempo.

Ripensando a tutto questo, la scelta di De Zerbi appare più che sensata, addirittura “necessaria” se riletta con gli occhi del diretto interessato. Va detto che Crotone è piazza che ha lanciato fior di allenatori negli ultimi anni e che è abituata a far lavorare i propri tesserati nella massima tranquillità, senza asfissiarli mettendogli addosso aspettative non calibrate rispetto al contesto allestito.
Anche Fabio Grosso, attuale allenatore della squadra Primavera della Juventus, pare abbia preferito declinare la panchina del Crotone: evidentemente anche l’ex terzino di Palermo ed Inter preferisce costruirsi per gradi, maturare una certa esperienza lontano dai riflettori e dai clamori.

Questa inversione di tendenza da parte dei giovani tecnici rampanti è da registrarsi con assoluto favore: la pazienza, la voglia di fare sacrifici, la dedizione ed il rispetto per il proprio lavoro, ancor prima che la consapevolezza dei propri limiti, sono elementi che dimostrano lo spessore umano di chi abbraccia questo tipo di decisioni, che stanno poi alla base di una crescita tecnico-tattica indispensabile per poter scendere sul ring e combattere, muniti di guantoni, paradenti e di tutti i colpi che è necessario possedere nel proprio bagaglio.

Se tante società, anche fra le cosiddette “big”, quelle stesse che si lamentano della crisi del calcio italiano, non esitano nemmeno mezzo secondo a compromettere la carriera di un tecnico che deve ancora affinare le prime armi - e non è il caso del Crotone, lo ribadiamo – pur di coprire, o cercare di farlo, i propri errori sesquipedali, avendo la pretesa di fare calcio improvvisando, è il caso che i giovani mister maturino una certa consapevolezza e che abbiano ben chiaro che per arrivare e rimanere a certi livelli è necessario forgiarsi, senza pensare che per poter reggere l’urto fra i pesi massimi possa bastare il nome o un paio di stagioni fatte bene, senza avere l'ossessione dell'arrivismo a tutti i costi, ora e subito.

Bravo, De Zerbi: per aspera ad astra…