Ai Maestri


Maradona: “Non sarò mai un uomo comune” - Il calcio ai tempi di Diego è il titolo del libro, edito da Minimum fax, con cui Gianni Minà ricompone il dialogo col Pibe de Oro sviluppato e accresciuto in anni e anni di amicizia. Una pubblicazione che rievoca l’interno umano di un personaggio in equilibrio tra la sensibilità verso se stesso e il mondo a cui vuole bene e le coraggiose invettive scagliate al potere e alle persone che gli hanno voltato le spalle. Tutto il disparte afflitto e ferito, pulsante dentro una vita che non è bastata alla vita.   

La personalità mancina di Diego Armando Maradona viene descritta secondo il suo detto e il suo sottile sottaciuto e non attraverso interpretazioni esterne alla sua figura. Minà ricostruisce secondo Diego, non secondo se stesso. Dal volo d’uccello sopra la cronologia dal suo avvento a Napoli fino alla sentenza del processo per reati fiscali emessa post mortem, rischiara un panorama popolato da creature meravigliose e loschi figuri. Dall’anonimato caloroso e spontaneo che ha davvero amato Maradona ai tanti, troppi, che lo hanno apprezzato e seguito solo per convenienza. 

“La burocrazia ha potuto più della vita”
Gianni Minà, Maradona: “Non sarò mai un uomo comune” - Il calcio ai tempi di Diego

Tra le righe della cronaca un fondo di compassione, una pietas antiretorica. Da una parte il brocardo tragico e inquieto, facile ai fraintendimenti dei superficiali, del “Non sarà mai un uomo comune”, dall’altra l’umiltà della manovalanza narrativa che taglia le luci sopra il verbo postumo e rivolto al futuro di un Pibe de Oro intellettuale. Autentico e netto, con la parola freccia dentro il sangue di un discorso all’uomo e alle sue passioni, vibrante da quell’istinto tipicamente latino di chi è imperturbabile al giudizio su di sé opponendosi a quello su chi non può difendersi. Negli estratti che rendono onore alle fonti letterarie e spirituali del Maradona “parlessere” giace l’abisso umano di quella imperturbabilità. 

La riemersione progressiva delle inquietudini scandite dalle incursioni persecutorie dei media, da un ambiente che non è più di casa e che non capisce la necessità di “liberare” l’uomo dal contratto sociale e morale del calciatore, da tutto l’esterno maradoniano, vela il racconto di una malinconia che consegna il peso del ricordo e l’amarezza del mai più. Il ‘come è stato’ rivelerà poco a poco l’entità incalcolabile di un’esperienza umana ai limiti di ogni tensione emotiva. Perché in quegli anni, di fatto, il mondo del calcio calamitò attenzioni ed energie ben oltre i livelli raggiunti in passato e di quelli che avrebbe segnato in futuro. Quel punto estremo, anche nel libro di Minà, porta il nome di Maradona.

“Io, Gianni, per rispetto dei trentamila desparecidos, sono in forte polemica con tanti argentini che dicono di voler dimenticare. No, io non dimentico niente, perché ci sono madri in Argentina che ancora stanno cercando i figli, le ossa dei loro figli. Anche per questo, per me il vero mondiale è stato quello dell’86, vinto fuori dall’Argentina. Non come nel ’78, quando avremmo potuto vincere lo stesso ma ci hanno pensato i generali Videla, Agosti e Massera, a metterci un timbro in fronte. Come se tutti gli argentini fossero assassini! Io il timbro in fronte non lo voglio, perché non ho ammazzato nessuno, ma quelli sì.” 
Diego Armando Maradona in Maradona: “Non sarò mai un uomo comune” - Il calcio ai tempi di Diego, di Gianni Minà

L’uomo che è venuto dalla miseria, che nel momento in cui la sua carriera sembrava lanciata ha affrontato il rischio di non giocare più, che ha rinunciato ai più grandi club per portare in alto una squadra che non aveva mai vinto prima del suo arrivo, che ha fatto vincere la sua nazionale nel suo momento più delicato della storia del Novecento, che ha vinto e perso affrontando a prescindere l’entità della persecuzione, che ha vissuto i valori umani più preziosi tanto nelle loro ebbrezze quanto nelle loro contraddizioni, che ha portato avanti movimenti politici, che ha ispirato tutte le discipline artistiche e letterarie, che ha interloquito con le personalità più autorevoli del mondo molto più dei capi di Stato, che è stato a rischio di se stesso e per se stesso, che è stato tradito, che è stato processato e assolto, e che i clamori relativi alle sue vicende giudiziarie sono stati più forti quando lo hanno denunciato che quando lo hanno scagionato da false accuse, che ha sorriso di rimando a chi voleva fargli del male, che ha indovinato su chi faceva del male e che ha fatto del bene.

Diego Armando Maradona è il segno di secoli interi. Suo malgrado e per suo merito. Giannì Minà gli è stato amico. Amico sul serio. E, come un vero amico, gli ha dedicato un omaggio discreto e in punta di piedi, ma che contiene tutto il saggio umano di un tempo che soltanto la più serena e lucida semplicità sa restituire. 

Di tanto in tanto, non guasta tornare alle cose “semplici”. Semplice è una parola difficile. Anche Maradona lo aveva compreso mentre senza saperlo lo insegnava al mondo. La copertina del libro di Minà reca una fotografia di Maradona in sua compagnia. Entrambi guardano un punto imprecisato. Due sguardi a scrutare un orizzonte misterioso. Diego assume una posa timida, adolescenziale, dimessa, di uno spirito in separazione, che non vuole essere colto o catturato da qualsivoglia genere di attenzione. Gianni Minà gli tiene compagnia in attesa di qualcosa e in previsione malinconica. Una contemplazione a quattr’occhi per quello che mai arriverà ma che c’è sempre stato. Sembrano due persone in sintonia senza bisogno di guardarsi, di parlarsi. Lo hanno già fatto abbondantemente prima. Gli basta il silenzio. Un carico che solo la vera amicizia e una profonda sintonia spirituale possono sostenere. Nel libro di Gianni Minà, per Maradona e da Maradona, è un peso che grava in tutta la sua discreta e sentita leggerezza.

Immagine di copertina
Immagine di copertina