Le lacrime versate sabato 10 maggio da tutti i tifosi nerazzurri sono troppo poco per esprimere quello che è stato Zanetti per i giovani interisti come me, quelli che hanno seguito, con la rabbia di chi non si rassegna, l’approccio al calcio e, con la gioia di chi è libero da dubbi, le ultime vittorie dell’Inter. Nel dolore sportivo e nella festa, lui c’è sempre stato, il Capitano di sempre, esempio di lealtà e fierezza in campo e fuori.

 

 

Che cosa sarebbe stata l’Inter senza Zanetti?

E’ una domanda che mi sono posto più volte e credo che la risposta sia la stessa di milanisti e juventini quando si parla di Maldini e Del Piero. 

Zanetti è stato il calcio, a colori nerazzurri, ma pure sempre calcio. Zanetti è stato soprattutto Inter, la mia Inter, quella squadra che ho conosciuto nelle difficoltà quando la maglia non vantava altro che stemma e logo Pirelli.

Un’Inter povera di successi, impantanata nel sistema di quel tempo.

 

 

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(Il primo Zanetti)

 

 

Juventus-Inter, 26 aprile 1998. Le lacrime di Zanetti sono state anche le mie. Una squadra costruita per vincere che troppe volte ha faticato nel riuscire a disincagliarsi da un sistema che doveva vederla sconfitta. Troppe volte la rabbia verso quella Juventus che pareva imbattibile.

Pure quell’aprile. Con Iuliano che stende impunito Ronaldo.

Si dice tanto e spesso che Zanetti non si è mai spettinato. Bugie. Quel giorno si spettinò. Si spettinò a rincorrere quel Ceccarini che ancora oggi è probabilmente l’arbitro più odiato da tutto l’ambiente nerazzurro.

 

 

 

 

La sconfitta. Dove un evento simile non distrugge allora fortifica, lega, unisce.

Quel giorno il cuore di Zanetti è diventato il cuore dell’Inter.

La schiarita arriva qualche mese più tardi, Parco dei Principi, Parigi, l’Inter strapazza 3-0 la Lazio in finale di Coppa Uefa. Zanetti segna il gol più bella della sua carriera: Zamorano appoggia, una sassata, palla che bacia l’incrocio e scuote la rete. E poi la corsa, vera, tipica di chi non prepara un’esultanza perché la porta la vede poco spesso. In tribuna piange il papà, arrivato dall’Argentina per vederlo.

Alzare quella Coppa è stato come cucire una ferita. La cicatrice rimane.

 

 

 

“La Coppa Uefa per aprire un ciclo”: è la sensazione di tutti, pure del Capitano. Ci si aspetta la rinascita dell’Inter, lui è fiducioso, lo è sempre stato. Macché, non ancora tempo per sorridere. Girandole di allenatori tra cui quell’Hodgson che lo mise alla porta, salvo poi uscire lui per primo. Anni di sabbie mobili dove gli sforzi, l’impegno e il lavoro sembravano non pagare mai.

Zanetti non ha mai mollato. Non solo. Non ha mai pensato di mollare.

Qual è la differenza, dite voi? Quando uno pensa di mollare allora perde fiducia e, prima o poi, mollerà. Senza fiducia non si può andare avanti.

Non pensare di mollare è altro, è forza. E’ qualcosa che solo i grandi riescono a fare.  

 

 

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(Zanetti nei primi anni 2000)

 

Zanetti non ha mai pensato di mollare neppure nel periodo dell’enigmatico Cuper, troppi dolori, forse, per chiunque.

Con il tecnico spagnolo due date segnate in rosso: 5 maggio 2002, 13 maggio 2003.

Se Manzoni avesse saputo, probabilmente avrebbe dedicato ad altro le righe del suo “5 Maggio”. 

Dopo una stagione esaltante ma con tante ombre e dubbi su alcune situazioni, arriva la cocente sconfitta all’ultima giornata contro la Lazio. L’Inter perde lo Scudetto che vola a Torino, ancora una volta a quell’imbattibile Juventus.

Le sofferenze con Cuper, uno che comunque ha portato aria nuova a Milano, non sono finite. 

13 maggio 2003, l’Inter esce dalla semifinale di Champions dopo un doppio pareggio contro il Milan, con Kallon che si vede respingere il gol qualificazione a pochi attimi dalla fine.

Due eventi del genere segnerebbero chiunque in modo negativo. 

Cuper, per esempio. Ronaldo, che lasciò l’Inter dopo il 5 maggio. Ma non Zanetti.

Ci sono uomini, prima ancora che calciatori, che quando recitano la formale frase “nella buona e nella cattiva sorte” per loro così è, per davvero. Se si parla di realtà, per Zanetti lo fu con la moglie Paula, ragazza semplice e sorridente, e con l’Inter. 

Sono due storie troppo belle per essere rovinate da eventi sfortunati, tristi e brucianti.

Sapete perché? Perché sono storie vere.

 

 

 

“Sapevo che con il lavoro, l’impegno e l’allenamento le soddisfazioni sarebbero arrivate. Ci ho sempre creduto” dice Zanetti. E così è.

E non me ne vogliano le malelingue o i difensori strenui di eventi passati, ma lo Scudetto assegnato nel 2006 dopo lo scandalo Calciopoli nessuno l’ha sentito suo come Moratti e Zanetti. Loro che hanno vissuto tutto ciò che è successo in primo piano e non nelle aule di tribunali. 

Gli sforzi vengono sempre ricompensati, i dubbi finalmente spazzati via.

 

 

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(Arrivano gli Scudetti))

 

Nasce una nuova Inter che stravince con Mancini, e Zanetti alza le coppe con la stessa facilità con cui versava lacrime in passato. Cambiano gli allenatori, i giocatori e talvolta i presidenti. 

Negli anni della ribalta, precisamente il 4 settembre del 2006, viene a mancare Facchetti, colui che accolse Zanetti nel 1995 quando arrivò giovanissimo a Milano. Punto di riferimento dell’Inter che ha, come Javier, scalfita nel cuore.

 

Con un occhio di riguardo dal cielo, l’Inter cresce e Zanetti con lei. 

Probabilmente ci deve esser stata anche la mano di Facchetti in quel febbraio 2008, quando a pochi minuti dalla fine di un Roma-Inter che vale lo Scudetto e in cui i giallorossi conducono 1-0, una palla spiovente termina sui piedi di Zanetti che segna un gol tanto bello quanto importante.

L’esultanza è la stessa del 1998, occhi spiritati, emozioni intense, corsa interminabile. Brividi, perché quando segna il Capitano è un’altra cosa, vale di più.

Lui ovviamente non spettinato, ma con la maglia fuori dai pantaloncini.

 

 

 

 

Con Mourinho arrivano le soddisfazioni più grandi e i trofei più prestigiosi. Dopo troppe delusioni in Champions e le lacrime di dolore dei primi anni 2000, è tempo per quelle di gioia.

Squadra allestita per vincere e formata da tanti campioni. Il classico leit motiv estivo su carta stampata è quello di provare a indovinare gli 11 probabili titolari, regolarmente Zanetti siede virtualmente in panchina, salvo poi disputare tutte le partite dell’anno.

Non dalla panchina, ma dal campo, alza Coppa Italia, Campionato e Champions League, regala smorfie di gioia che mai nessuno si sarebbe aspettato dal posato gentiluomo. Poche dichiarazioni e la felicità vera nel cuore.

E’ questo il bello del Capitano, un leader silenzioso quando c’è da festeggiare ma che ci mette sempre la faccia quando nessuno la metterebbe.

 

 

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(Zanetti alza la Champions)

 

Vincere è difficile, ripetersi talvolta impossibile. La diaspora di campioni, così come fu in passato con Baggio, Ronaldo, Vieri e tanti altri comincia, con Zanetti vigile alle vicende nerazzurre.

E’ un’Inter sonnecchiante che comunque si concede una Coppa Italia con Leonardo dopo il disastrino Benitez

Ma quell’anno è segnato da altro. La vita dà e toglie e nel maggio 2011, poche ore dopo la conquista della Coppa, viene improvvisamente a mancare mamma Violeta, la donna che lo ha messo al mondo e che lo ha sempre sostenuto. 

La famiglia del Capitano così come l’Inter gli si stringono intorno e il dolore, vivo, si allevia e la mamma lo guarda da lassù.

 

 

Già, perché ci sarà anche la forza della mamma quel 28 aprile 2013 in un caldo pomeriggio a Palermo. 

Il tendine d’Achille, dopo chilometri e chilometri percorsi, fa crack. Un infortunio pesante, duro e che a 39 difficilmente lascia la possibilità di ripartire. Difficilmente per gli uomini normali. 

“Tornerò, dovevo solo cambiare le gomme”, la forza di una dichiarazione semplice e ottimista.

Non è ancora tempo di smettere o, almeno, non in questo modo.

Perchè fa sicuramente meno male ripartire da un infortunio che dopo le tante delusioni del passato, perché se non avesse provato quel tipo di esperienze, allora forse Zanetti avrebbe chiuso la carriera quel giorno. Con lode, certamente, ma non da Zanetti.

Ma non è il suo stile. Come abbiamo detto, a lui le parole non sono mai servite troppo, ha sempre preferito l’esempio. L’esempio che può dare a un giovane vittima di un brutto infortunio che non ha la forza di ripartire. Questo è Zanetti.

 

 

Quel Zanetti che insieme alla moglie Paula pensa tutti i giorni ai suoi bambini bisognosi dell’Argentina, che grazie alla Fondazione Pupi hanno la possibilità di sorridere. Scommetto che non scambierebbe un sorriso di uno di quei bambini nemmeno per la Coppa più prestigiosa. E lo farebbe con felicità.

 

 

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(Fondazione Pupi)

 

Non so dirvi se sabato 10 maggio a San Siro ci fosse felicità nel gremito San Siro. Sicuramente tante lacrime miste di gioia e dolore, al sapore di Inter. Zanetti chiude davanti al suo pubblico, famiglia al seguito, e riceve l’abbraccio di tutto il popolo nerazzurro. Si chiude un’era fatta di rabbia e felicità, ma fatta soprattutto di Zanetti. Si chiude la storia di Zanetti ma anche quella di Moratti, che nel 1995 lo portò all’Inter come suo primo acquisto. Si chiudono 19 anni di Inter, fatti di 858 presenze e 21 gol.

 

 

 

La vita nerazzurra del Capitano si è intrecciata con la mia e quella di tutti i tifosi nerazzurri. 
Ci siamo sentiti vicini nei momenti tristi e felici, perchè le tue lacrime sono state anche le nostre.

Chi non capisce i sentimenti calcistici è solo perché non ha vissuto quei momenti sopra descritti come li abbiamo vissuti noi, perchè è stato l’esempio che tutti i bambini dovrebbero avere, l’incarnazione di ciò che di sano c’è nello sport.

La tenacia e la perseveranza nei momenti tristi, la forza di riuscire sempre comunque a rialzarsi e tenere la testa alta.

Il Peter Pan nerazzurro che di limiti non ha mai voluto sapere.

Grazie di tutto questo Javier, Capitano della mia Inter.

 

 

 

Pietro Turchi